La freccia e il cerchio
anno 8, numero 8, 2021
pp. 349-351
Richard Harrison
La versione finale
Mia madre prese peso
Tra il giorno di giugno in cui mia madre prenotò la propria morte
e il giorno di luglio in cui il dottore venne,
mia madre prese peso all’ospedale
in dodici ultime cene.
Conosciamo tutti il cibo da ospedale, ma
mia madre, avendo vissuto a misere porzioni
per mantenersi immune dal cancro,
si gustò pesce grasso, arrosto di maiale e burro e budino
e gelato,
e l’ironia era che fu il cancro inoperabile
a permetterle di ritrovare
con il cibo un’innocenza da bambina.
Si fece più forte di giorno in giorno;
stava sveglia più a lungo, usciva di più,
spingeva il deambulatore per la salita leggera
del sentiero nel giardino dell’ospedale
che il giorno del suo arrivo le era parsa una montagna.
In quel giardino nutrì i passeri,
e mise giù la versione finale della sua vita,
storia per storia,
fino a quando non fu certa che il significato fosse chiaro.
E la gente che veniva al piano di mia madre
per visitare i propri cari che andavano per i corridoi
come se a ognuno avessero dato uno schedario
da spostare senza aiuto,
o che erano a letto privi di conoscenza con ventilatori
a fare il lavoro dei polmoni
attraverso le bocche vuote,
quella gente entrava in camera da mia madre
per sentirsi riconfortata del fatto che almeno qualcuno migliorava,
e il lucignolo fumigante della speranza
toccava di nuovo la luce.
E andò così
in quelle camere
dove le aspettative si esaudivano a ritroso;
mia mamma si arrotondò e prese peso
man mano che si avvicinava
alla morte
che aveva mandato a chiamare, e che venne
a lei, piacevole e compiuta,
come il boccone finale di un pranzo perfetto.