La freccia e il cerchio
anno 8, numero 8, 2021
pp. 175-176
4.
Salvatore Ritrovato
Da Antigone a Sophie ad Agnese. I giorni della scelta
«L’influsso della donna è soprattutto atmosferico, e dunque
ubiquo e invisibile. Non c’è modo di prevenirlo né
di evitarlo. Penetra attraverso gli interstizi della cautela e
agisce sull’uomo amato come il clima sui vegetali. I suoi
modi radicali di sentire l’esistenza opprimono soavemente e
continuamente la nostra anima e finiscono per trasmetterle
la loro peculiare inclinazione.»
(José Ortega y Gasset, La scelta in amore,
trad. di E. Carpi Schirone)
Leggendo La sparizione dell’arte di Jean Baudrillard, uno dei libri più inquietanti sulla fine dell’arte (che non esclude, mi pare, l’altro e ben più celebre pronostico di Hegel) per effetto di una iperestetizzazione pervasiva del mondo (che si verifica non solo nei luoghi – come musei e gallerie – preposti alla sua conservazione, ma in luoghi privati e pubblici, nelle cose, negli oggetti più banalmente noti come gadget), ho sempre avuto più di un dubbio sul fatto che ci troviamo davanti a un fenomeno molto più complesso, cui concorrono diversi fattori disintegrativi delle sovrastrutture culturali ereditate dalla storia, compresa l’irreversibile avanzata di un totalitarismo burocratico globale di cui lo stesso Baudrillard ricorda alcuni ributtanti esiti nel campo delle relazioni umane, rappresentati sia dal filtro tecnologico di paure e desideri (dalla proprietà, ormai demandata agli acquisti online, alla sessualità, sublimata nel consumo mediatico), sia dalla smaterializzazione dell’attività educativa e formativa (come si vede nell’affermarsi di asettici corsi e-learning, senza dimenticare l’automatizzazione delle prove di verifica dei concorsi e l’ormai dilagante didattica a distanza). Fenomeni che potremmo considerare come un effetto di deriva di una deresponsabilizzazione del sapere che non concerne solo quello gestito dallo studioso di ingegneria genetica (guarire le malattie o costruire una nuova razza di esseri postumani?) o di struttura della materia (mettere l’energia nucleare al servizio dell’umanità o costruire armi più potenti?), ma anche quello più aereo e gassoso gestito dall’umanista, il quale sempre più spesso lavora al riparo di un’istituzione, di un ente, di una élite, non al cospetto della sua coscienza, con l’obiettivo formalizzato di trasmettere delle “competenze” (termine asettico disgraziatamente riciclato da certe moderne teorie pedagogiche), non un senso critico; là dove – sia detto a mo’ di chiosa – missione dell’intellettuale, che si occupi di scienze o di lettere, dovrebbe essere proprio quella di dichiararsi “incompetente”, cioè paradossalmente (con parole di un filosofo che la pagò cara) di “non sapere”.
Perché ritengo vi sia da porre attenzione al modo in cui a tanta sparizione dell’arte corrisponde l’assalto devastante della burocrazia, e perché tutto questo concerne proprio la questione della “scelta”, e di rimando quella del “nemico” (che probabilmente si annida proprio dentro di noi)? La ragione non è racchiudibile in una sola parola: occorre una rete di concetti ruotanti attorno al campo tematico di un’etica della “responsabilità” su cui possiamo aprire, in questa sede, una finestra per poter comprendere le ragioni di chi volente o nolente si sottrae a prendere delle decisioni, affidandosi a procedure stabilite dall’alto, ma anche e soprattutto per apprezzare chi invece non può fare a meno di porre di fronte all’apparente oggettività e trasparenza di ogni codificazione normativa una riflessione sul senso di ciò che sta facendo o scrivendo o insegnando.
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