La freccia e il cerchio
anno 7, numero 7, 2016
pp. 13-16

1.
la conversazione / the conversation

Pasquale Sabbatino, Isabella Valente
Un’illusione indiziaria

 

I. Più o meno reale

SABBATINO

Vogliamo risalire alle origini dell’illusione, almeno nella civiltà umanistica? Per me il punto di partenza è costituito da un’opera, L’idea del teatro, di Giulio Camillo detto il Delminio, un erudito vissuto tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500. In sostanza, il Delminio concepisce, sulle orme dell’architettura di Vitruvio, un vero e proprio teatro della memoria. Posseduto da un’ambizione catalogatoria, sistematica, egli intende creare la casa di tutto lo scibile umano. Difatti, all’interno di questo teatro si muove come su una scacchiera, da una parte ponendo le sette divinità o meglio i sette pianeti e dall’altra i sette gradi, immagini che tra di loro si intrecciano e si integrano producendo a loro volta altre 49 immagini, che sono “loci” del sapere. Giocando attraverso una tecnica combinatoria, questo teatro dovrebbe contenere gli indizi indispensabili per permettere l’accesso alle conoscenze dell’umanità. È una illusione e tale rimarrà.

VALENTE

Se adoperiamo la metafora teatrale per introdurre il nostro discorso non ci resta che penetrare nel territorio dell’arte, perché il limite fra teatro e arte, a partire dal Rinascimento e soprattutto in età barocca, è un limite molto sottile. Ricordo il volume Illusione e pratica teatrale curato da Mancini, Muraro e Povoledo nel 1975, o Lo spazio scenico di Allardyce Nicoll del 1971. Possiamo dire che la scena teatrale la ritroviamo per intero nella cultura figurativa sin dalla fine del ’500, ma soprattutto con l’inizio del ‘600. Penso ai dipinti di Caravaggio, alla sua sete di realtà in assoluta rotta di collisione con quel classicismo idealizzante che costituiva il carattere centrale del tardo-manierismo sfibrato e stanco di fine ‘500. Caravaggio cerca un reale autentico e lo trova; ma la cornice compositiva, la retorica dei gesti, degli atteggiamenti, deve molto all’impostazione teatrale.

SABBATINO

A questo proposito voglio citare un testo del 1672, di Pietro Bellori, Le vite dei pittori, scultori e architetti, una continuazione delle vite del Vasari, raccolta che apparve nel 1550. Bellori, trattando le biografie degli artisti che vanno dalla seconda metà del ‘500 fino ai suoi tempi, costruisce questa sua raccolta di vite creando un gioco antitetico tra Caravaggio, pittore della realtà, e Annibale Carracci, che considera esponente massimo del classicismo. Carracci, riprendendo un vecchio mito, opererebbe alla maniera di Zeusi, che per dipingere la bella Elena, le sue perfette forme, aveva selezionato, come ricordano Plinio e Cicerone, le cinque vergini più belle, prendendo da ciascuna di esse il tratto perfetto, distinguente, fino a comporre un insieme impeccabile. La bellezza piena, dunque, secondo i classicisti, non è nella realtà ma piuttosto nell’arte, che incarna l’idea stessa della bellezza assemblando quei tratti pregevoli altrimenti separati in più corpi.

VALENTE

È questo il nodo cruciale che attraversa il percorso artistico dai tempi arcaici fino a oggi. Possiamo dire che tutta l’arte figurativa si svolge intorno al problema, al dibattito, allo scontro tra reale e ideale. L’arte inizia come un’imitazione della natura; poi, pian piano, scopre che la natura va curata, va emendata dei suoi difetti, e quindi cerca di giungere a un canone di perfezione, che cambia secondo il gusto e il costume dei secoli.

SABBATINO

Ma l’illusione del vero è riprodotta dal reale, sia pure un reale idealizzato?

VALENTE

Durante questo percorso si arriva alla prima illusione del vero che avviene in età classica, un vero che non esiste, perché quando l’arte riesce a depurare il difetto fisico, naturale, e a creare un canone di perfezione, non presente nella realtà, allora si è già arrivati a un punto ben preciso dell’illusione. Poi, però, gli artisti hanno cercato di superare questo punto. A partire dalla metà dell’Ottocento, l’arte rifiuta il discorso dell’epurazione e pretende di entrare a pieno diritto nel vero e nella vita reale. La natura così com’è diviene modello della raffigurazione, senza più essere emendata, ma mantenendo intatti e distinguibili i suoi difetti. Nel Novecento, poi, tutto questo è superato da altri ideali, da altre forme e da altri stilemi.

SABBATINO

Un percorso ciclico, dunque. Secondo il Vasari, del resto, l’illusione è il tratto tipico dell’arte moderna. Si dipinge su una superficie piana, tuttavia attraverso il gioco della prospettiva ecco che quella pittura, quel paesaggio ti sembra di vederlo in profondità. Un edificio su una superficie piana appare come in prospettiva, con le sue molteplici pareti, i corridoi, le stanze entro cui agiscono i personaggi rappresentati. E questa è una illusione che può creare solo l’arte.

VALENTE

Caravaggio, in tal senso, rappresenta una rottura assoluta perché vuole contrastare un’illusione diventata maniera. Come intende farlo? Cercando di tenere fermo il riferimento alla vita reale. Il modello non è più desunto dalla classicità, dalle copie delle statue romane antiche, oppure dallo stesso Michelangelo; ma va a riferirsi al vissuto, a quell’universo ben riconoscibile che tutti conoscono perché vi sono immersi: l’artista, il modello, i committenti.

SABBATINO

Quindi il reale che si propone di riprodurre Caravaggio è un reale senza “filtri”?

VALENTE

Caravaggio tende alla riproduzione del reale con tutte le sue imperfezioni. Un esempio concreto è il dipinto dell’Amorino dormiente. Il modello di quell’amorino, un cupido con le ali che si riposa dopo aver scoccato le frecce alla propria faretra, è un bambino morto. E Caravaggio riprodurrà tutti i difetti del piccolo corpo divenuto cadavere, proprio per attestare che la fonte suprema di ogni raffigurazione è sempre la natura. Anche se si tratta di una natura comunque inquadrata, incorniciata, dai tratti mitologici. Una finzione scenica, alla fine.

SABBATINO

Sempre sul tema dell’illusione, possiamo ricordare l’aneddotica sull’inganno del desiderio che circola durante l’Umanesimo e il Rinascimento. Si racconta che più di un visitatore, al cospetto di una statua femminile dai tratti perfetti, ne sia rimasto talmente sedotto da avvertire le stesse sensazioni che avrebbe provato di fronte a un corpo vivo e caldo. Da qui la passione avvampante, fino a concepire un desiderio di congiunzione carnale con la statua.

VALENTE

Un desiderio impossibile frutto di un’illusione suprema, ossia di quel principio di realtà che Caravaggio, senza esitazioni e con pochi compromessi, si è sforzato di trasmettere con le sue opere.
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