La freccia e il cerchio
anno 7, numero 7, 2016
pp. 195-197

6.
Leonardo Merola
Riflessioni sul mondo fisico, tra illusioni e indizi

 

   La domanda che ha appassionato scienziati e filosofi fin dall’antichità è: esiste una realtà fisica oggettiva, la cosiddetta “cosa in sé” (problema ontologico)? Se la risposta è sì, siamo noi in grado di conoscerla scientificamente (problema epistemologico)? Le due indagini si intrecciano senza scampo a causa del ruolo cruciale che gioca l’essere umano quando viene in contatto con la presunta realtà al di fuori di sé attraverso i sensi (o le loro estensioni tecnologiche quali sono i sofisticati e complessi strumenti ed apparati utilizzati allo scopo) oppure quando elabora le teorie e le leggi scientifiche con il proprio pensiero ed il proprio linguaggio, con il rischio che si tratti solo di una riflessione su se stesso ovvero di una rappresentazione soggettiva di un mondo inconoscibile. Ricordiamo l’opinione di Senofane di Colofone (VI sec. a.C.) secondo il quale “se i bovi, i cavalli, i leoni potessero dipingere, dipingerebbero gli dèi simili a loro”. La sua era una posizione drastica, che partiva da un atteggiamento contrario alla religione e alla superstizione, ma la storia del pensiero ha conosciuto entrambi gli atteggiamenti, identificati semplicisticamente con materialismo-idealismo, che si sono combattuti non solo con le parole ma talvolta costituendo anche la base ideologica di veri e propri modelli di vita e di società.

La ragnatela delle illusioni …

   Ritorniamo ora alla questione fondamentale: il mondo fisico è un’“illusione” costruita dalla nostra mente? Ciò che osserviamo sono solo “ombre” come nel mito della caverna di Platone? E l’esperienza sensibile ci dice qualcosa di “vero” sulla realtà? Non siamo per caso ingannati da quel cartesiano “genio maligno” che ci suscita sensazioni ingannevoli, del tutto “verosimili”? In fisica, in special mondo nella ricerca in fisica delle particelle, ci troviamo sempre a combattere con qualcosa di analogo: osserviamo fatti ed eventi, alla ricerca di “segnali” interessanti e dobbiamo riuscire a riconoscerli e a distinguerli rispetto al “fondo”, ovvero da quei fatti o eventi che possiedono medesime caratteristiche o simili a quelle dei segnali ricercati. In tali casi, la certezza non esiste, potendosi al più stabilire un livello di probabilità nell’affermare una cosa o l’altra. Faccio un esempio concreto: la ricerca di nuove particelle (ad esempio nelle collisioni ad alta energia protone-protone al Large Hadron Collider del CERN) consiste nell’individuazione di particelle che siano il prodotto del decadimento della nuova particella, stando attenti che le stesse particelle osservate non possano derivare da altri fenomeni o particelle note. Nel caso dell’oramai famosa scoperta del “bosone di Higgs”, annunciata al CERN il 4 luglio 2012 dalle due collaborazioni internazionali Atlas e Cms, noi fisici affermiamo che gli eventi osservati hanno una modestissima probabilità, al livello di un decimo di milionesimo, di provenire da eventi di fondo e non dalla particella di Higgs. Che il diavolo ci metta le corna, però, è sempre possibile! Solo il confronto tra gli esperimenti e la conferma successiva, finora mai contraddetta dai fatti, ci rende fiduciosi nella realtà della scoperta.
   Per Goethe il massimo a cui si possa aspirare è indagare ciò che è accessibile alla nostra indagine, arrestandosi rispettosi dinanzi a ciò che non è accessibile. Secondo Kant, invece, c’è bisogno di qualcosa a priori, le categorie (fra cui ad esempio la legge causale), che guidano le sensazioni verso la conoscenza; da qui nasce il giudizio sintetico a priori, in cui l’intervento della mente umana è indispensabile. Si riprende, così, il pensiero di Cartesio secondo cui è il nostro intelletto il protagonista della conoscenza, l’unico in grado di sintetizzare la frammentarietà e disomogeneità del materiale sensibile grazie alle idee innate nella nostra mente. Per Mach, invece, (siamo ormai alla fine dell‘’800) non esiste realtà al di fuori delle nostre sensazioni. La vecchia contrapposizione tra empirismo (Locke, Hume) e razionalismo (Cartesio) riflette due modi contrapposti di vedere il mondo o, meglio, di vedere sé stessi nel mondo. L’eccesso di empirismo porta allo scetticismo e al solipsismo. («io sono al centro di ogni conoscenza, non c’è altro al di fuori di me») come del resto aveva sostenuto nell’antichità il sofista Protagora («l’uomo è la misura di tutte le cose») ma il rischio opposto è la deriva metafisica, come colse giustamente il positivismo con Comte. L’eccesso di tale atteggiamento conduce ad attribuire solo un aspetto convenzionale alle leggi scientifiche (Poincaré). Addirittura Le Roy afferma: «lo scienziato crea il fatto».
   “Descrivere come” (posizione di Kirchhoff e Mach) o “spiegare perché” (posizione degli idealisti Fichte, Schelling, Hegel), questo è il problema! Nel primo caso la Scienza è chiamata a cercare le relazioni e le ricorrenze fra i fatti tramutandole in leggi fisiche “fattuali”; nel secondo caso si è portati a ricercare le “cause” dei fenomeni e a legare gli eventi con nessi causali necessari. Possiamo dire che i concetti di legge e di causa fisica come il nesso necessario tra i fenomeni naturali nascono con il genio di Leonardo da Vinci.
   È nota la critica di Hume al concetto di causalità: non esistono relazioni causali necessarie, tra un evento e l’altro potendosi solo stabilire una relazione di successione temporale non necessaria. Come si è lontani dalla concezione finalistica della Natura di Aristotele, da quel concetto di “forma” come “causa” (in senso teleologico) del passaggio dalla “materia” come “potenza” alla forma come “atto”!
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