La freccia e il cerchio
anno 7, numero 7, 2016
pp. 169-172
4.
Manuela Piscitelli
Inganni percettivi in architettura
La vista è il senso attraverso il quale riceviamo la maggior parte delle informazioni sulla realtà che ci circonda. Tuttavia, non sempre elaboriamo correttamente queste informazioni restituendo un’immagine mentale perfettamente corrispondente alla realtà, ma talvolta, ingannati da falsi indizi, cadiamo in illusioni percettive che ci fanno riconoscere oggetti e spazi diversi da quelli reali.
Il sistema percettivo umano valuta forma e dimensione degli oggetti attraverso i cosiddetti “indizi di profondità”, quali la sovrapposizione degli elementi in primo piano a quelli sul fondo, l’ombreggiatura, e soprattutto la diminuzione delle grandezze apparenti che ci fanno intuire lontani gli oggetti più piccoli come conseguenza del nostro sistema visivo che è essenzialmente di tipo prospettico. A questi indizi, vanno aggiunte le cosiddette “costanti percettive”, che ci consentono di riconoscere come regolari forme che in realtà vediamo deformate o di scorcio a causa della visione prospettica.
Infatti il sistema percettivo, formato da occhio e mente, elabora le informazioni in modo da ricondurre oggetti e spazi deformati prospetticamente a forme regolari di cui abbiamo esperienza. Si differenzia dunque dalla semplice visione ottica in quanto è una codifica delle immagini che giungono dal sistema visivo, soggetta ad un giudizio culturale, nel senso che le immagini vengono interpretate in base alla pregressa esperienza e conoscenza delle caratteristiche di oggetti e spazi. Quello che noi percepiamo è allora uno spazio apparente, ovvero quello che in base alla nostra esperienza ci appare il più probabile spazio corrispondente all’immagine formata sulla retina, ma non sempre coincide con lo spazio reale, come si mostrerà negli esempi proposti. Da sempre infatti artisti ed architetti hanno sfruttato deliberatamente queste ambiguità insite nel sistema percettivo umano allo scopo di “ingannare” l’osservatore, portandolo a vedere uno spazio differente da quello reale. Un esempio molto noto in ambito grafico sono le cosiddette immagini impossibili, largamente diffuse dallo straordinario lavoro dell’artista Maurits Escher, prodotte presentando una serie di dati tra loro incompatibili, in base ai quali la percezione risulta ingannevole perché non ci consente di riferirci ad un oggetto che il nostro intelletto ritenga reale o realizzabile.
In ambito architettonico gli inganni possono essere di diversi tipi: dalle correzioni ottiche applicate già nell’architettura sacra egizia e greca, alle architetture dipinte per creare spazi illusori in continuità con gli spazi reali, che già presenti in epoca romana trovarono larghissima applicazione nella cultura barocca, fino alla deformazione dello spazio architettonico per ingannare l’osservatore suggerendo una spazialità diversa da quella reale. A questi inganni negli ultimi anni si è aggiunta la forma di illusione più sofisticata che sia mai stata concepita, ovvero la simulazione di spazi virtuali immersivi nei quali l’utente ha la sensazione di muoversi come in uno spazio reale.
Le correzioni ottiche sono il caso più semplice di inganno percettivo, che però ci stupisce per la precocità di applicazione che testimonia la comprensione del meccanismo della visione in epoca egizia e greca. Le conoscenze nel campo dell’ottica consentirono ai greci di intervenire nella costruzione dei templi per annullare gli effetti di aberrazione della forma derivanti dalla percezione. In particolare, le lunghe linee degli elementi orizzontali, quali stilobate, architrave e cornice, subivano un incurvamento percettivo con la concavità rivolta verso l’alto. Per ottenere l’illusione di orizzontalità, questi elementi in molti esempi, tra cui il Partenone, furono realizzati lievemente curvi, con la concavità rivolta verso il basso in modo da compensare gli errori percettivi. Allo stesso modo, per evitare l’effetto ottico di divergenza delle colonne ed ottenere un’illusione di verticalità, gli assi furono realizzati convergenti verso l’alto, con un’inclinazione massima nelle colonne d’angolo e via via minore procedendo verso il centro della facciata.
Un livello di sofisticazione maggiore nella creazione di inganni percettivi si ritrova nelle architetture dipinte, a partire dalla pittura di giardino diffusa nel mondo romano dal I secolo a.C. sotto l’influenza della scenografia ellenistica. Salvatore Settis sostiene che il genere della pittura di giardino sia il risultato di una fusione tra finzione pittorica e realtà, allo scopo di suggerire l’illusione di un giardino reale. A sostegno di questa ipotesi riporta l’esempio del ninfeo sotterraneo della villa di Livia di Prima Porta a Roma, in cui si è conservata un’incredibile pittura parietale di giardino ad affresco databile al 40-20 a.C.
La mancanza di luce ed aria nell’ambiente sotterraneo è in netto contrasto con il soggetto della decorazione pittorica, un arioso giardino raffigurato nei minimi particolari e con grande varietà di specie vegetali ed avicole, a grandezza naturale e senza interruzioni nemmeno agli spigoli. In assenza di elementi architettonici verticali come colonne o pilastrini, la prospettiva del giardino è sapientemente ottenuta dalla rappresentazione di elementi orizzontali: la staccionata di canne e rami di salice in primo piano ed una balaustra marmorea in secondo piano. Tra questi due elementi prende vita il giardino vero e proprio, con alberi variopinti ricchi di fiori e frutta e uccelli di diverse specie. La doppia recinzione ha la funzione di definire illusionisticamente lo spazio verde, allontanando lo spettatore dalle piante poste oltre la balaustra. Il senso della profondità spaziale è ulteriormente sottolineato con altri accorgimenti, indizi di profondità quali la riduzione dei dettagli delle piante, accuratissimi per quelle in primo piano, al punto di consentire una precisa analisi botanica di ciascuna pianta, e via via più approssimativi e sfumati in lontananza; una rarissima ed innovativa sensazione dell’atmosfera ottenuta grazie alle fini variazioni di colore che terminano in un arioso turchese del cielo, confine ultimo dello sguardo; la sensazione del movimento data dalla presenza di uccelli in volo e rami con le cime piegate dal vento. La composizione del giardino, come in un giardino reale, è organizzata secondo uno schema simmetrico: al centro delle pareti sono disposti gli alberi principali, affiancati da altri alberi in composizioni bilanciate secondo precise regole compositive. Si tratta di uno spazio concluso, ancora come in un giardino reale, nel senso che l’estensione del giardino rappresentato è limitata; al contrario, la spazialità del ninfeo è illusoriamente prolungata, negandone le pareti come se fossero sfondate tramite la pittura, o come se si trattasse di un padiglione di vetro circondato da un giardino reale.
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