La freccia e il cerchio
anno 6, numero 6, 2015
pp. 165-167

6.
Sergio Brancato
Numeri, serie, destini

   Un plausibile punto di partenza per riflettere su numeri e destino nell’età contemporanea, e nell’ambito sociologicamente più preciso delle grandi narrazioni di massa, può essere individuato nella fecondità del pensiero di Walter Benjamin. Questo grande padre anomalo della sociologia – talmente anomalo che al giorno d’oggi, almeno in Italia, probabilmente non gli verrebbe riconosciuta l’affiliazione alla comunità dei sociologi – scriveva così nel 1937: “La riproducibilità tecnica dell’opera d’arte modifica il rapporto delle masse con l’arte. (…) La massa è una matrice dalla quale attualmente esce rinato ogni comportamento abituale nei confronti delle opere d’arte. La quantità si è ribaltata in qualità: le masse sempre più vaste dei partecipanti hanno determinato un modo diverso di partecipazione. L’osservatore non deve lasciarsi ingannare dal fatto che questa partecipazione si manifesta dapprima in forme screditate. Eppure non sono mancati quelli che si sono pervicacemente attenuti a questo aspetto superficiale della cosa. (…) È evidente che si tratta in fondo della vecchia accusa secondo cui le masse cercano soltanto distrazione, mentre l’arte esige dall’osservatore il raccoglimento. Si tratta di un luogo comune. (…) La distrazione e il raccoglimento vengono contrapposti in un modo tale che consente questa formulazione: colui che si raccoglie davanti all’opera d’arte vi si sprofonda; penetra nell’opera, come racconta la leggenda di un pittore cinese alla vista della sua opera compiuta. Inversamente, la massa distratta fa sprofondare nel proprio grembo l’opera d’arte”.
   Questo lungo passaggio, ovviamente sottoposto a montaggio e tratto da L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, ruota intorno a una frase che in apparenza scivola via quasi inavvertita nel contesto del potente impianto discorsivo benjaminiano, ovvero quando si sostiene apoditticamente che “la quantità si è ribaltata in qualità”. Tuttavia, questa affermazione è il vero fulcro del discorso di Benjamin sull’opera d’arte e sui processi di meccanizzazione dell’esistenza, ovvero sull’avvento di un’idea di società fondata sulla pregnanza del numero. Se volessimo riprendere alcune delle grandi narrazioni della nostra epoca, per tutta la tarda modernità il destino del mondo è stato individuato nella conquista dell’umanità da parte dei numeri. Mentre le utopie negative della letteratura post-romantica cominciavano a disegnare gli scenari di una vita disumanizzata (individuando un punto di catastrofe epocale nelle culture dell’umanesimo), le scienze e le pragmatiche della politica iniziavano a costruire modelli interpretativi della realtà sociale integralmente fondati sulla capacità dei numeri di restituire ipotesi di lettura dell’habitat antropologico e di intervento amministrativo su di esso. Le ricerche di mercato e le metodiche della statistica hanno ridotto, per molti studiosi, lo spirito comunitario a una questione di percentuali.
   Si inaugura in quel periodo la durevole commistione tra i miti contrapposti dell’individualismo moderno e della “dittatura” del dato, un incrocio semantico che si esprime magnificamente nella definizione di uomo-massa, autentico ossimoro che tanta fortuna ha avuto nella letteratura sociologica del secolo scorso. Il legame da cogliere – sotteso all’esaltazione dell’individuo come alla paventata riduzione di questo a dato statistico – è quello tra numero e massa: l’avvento del mondo industriale passa per un rovesciamento radicale delle prospettive storiche dovuto all’irruzione sulla scena sociale di un nuovo protagonista, appunto le masse metropolitane di cui parlava Baudelaire nel suoi scritti su Parigi. Nelle pagine de Lo spleen di Parigi, il poeta restituisce il sentimento di inquietudine e straniamento suscitato in lui dalle folle che si muovevano per i boulevard della capitale del XIX secolo. Il gran numero di esseri umani che si concentravano nella città in conseguenza del processo di industrializzazione determinava trasformazioni sostanziali nel modus vivendi, analoghe alle variazioni grandi che Machiavelli descrisse quasi cinquecento anni prima nelle pagine del Principe, cogliendo lo spirito innovativo dell’Umanesimo. L’era della fabbrica conduce la sfera della politica moderna sino ai suoi esiti estremi, come attesteranno le teorie e perfino gli slogan dei sistemi totalItari: la potenza è nel numero!, si griderà per sostenere le campagne demografiche che, nel secolo successivo, coniugheranno il concetto di quantità ai destini della patria.
   La demografia è anche una delle chiavi utili a introdurci nel concetto di massificazione, dunque di quel vasto processo che appartiene alla società industriale e ne definisce caratteri ed estetiche. Soprattutto nell’età moderna, il tema della quantità riferito alle genti diviene essenziale per pensare il mondo. Numerare la popolazione attraverso l’ufficio del censimento è una delle prime grandi riforme che caratterizzano gli stati moderni. Anche se molte sono le parole usate per definire questa dinamica (popolo/i, folla/e, massa/e, eccetera), il dato unificante risiede nell’esigenza di applicare un nuovo principio d’ordine a un fenomeno sociale assai fluido e complesso che in pochi anni trasforma il volto stesso del mondo conosciuto. Il problema da affrontare è quello di razionalizzare il rapporto con la moltitudine degli esseri umani così come si procede a fare per gli oggetti delle scienze naturali. Non a caso, la prima nominazione del corpus disciplinare che oggi, grazie a Comte, si traduce nella sociologia è stata quella di “fisica sociale”.
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