La freccia e il cerchio
anno 6, numero 6, 2015
pp. 13-16
1.
la conversazione / the conversation
Carlo Sbordone, Aldo Trione
Il destino nel numero
I. Un infinito da definire
SBORDONE
Partiamo da una domanda secca: l’universo è matematico o filosofico? Direi un po’ dell’uno e un po’ dell’altro, impossibile effettuare distinzioni nette; eppure, matematica e filosofia sono oggi due discipline con pochi punti di contatto. Raramente un matematico – e parlo anche per me – è filosofo; e praticamente mai un filosofo sa di matematica, anzi spesso ignora concetti basilari di questa disciplina che dovrebbero far parte del bagaglio culturale di qualsiasi studioso, come il concetto di limite, il concetto di somma con infiniti addendi, il concetto di derivata…
TRIONE
D’accordo, d’accordo, anch’io se voglio ricercare convergenze e reciproche curiosità non posso che risalire al passato, ad un lontano passato. Ed allora penso alla comparazione tra scienza e sapere poetico, che riporterei alle antiche leggende, segnate da un rapporto inscindibile e necessario tra il numero e l’immaginazione. La nostra cultura si è mossa nell’orizzonte dell’affermazione di Giovanni che dice “In principio fu il Verbo”: ma questo Verbo era, in qualche misura, il numero. E questo numero era sapere, conoscenza, fantasia, mito, progetto, illusione. Il numero disegnava il destino del cosmo, il destino della poesia, dell’arte…
SBORDONE
E nessuno se ne stupiva, è chiaro, non certo personaggi come Archimede o Pitagora. Ma, venendo a tempi più recenti, basti pensare a Leibniz, a Newton, che possedevano anche un sapere astrologico e cosmologico; o ancora, giungendo alla modernità, come non citare Einstein, che ha fornito contributi inequivocabili alla filosofia: il tempo e lo spazio percepiti dopo le sue scoperte sono molto diversi dal tempo e dallo spazio configurati prima. Lui, però, rappresenta già l’eccezione in un contesto sempre più iperspecializzato.
TRIONE
Proviamo a mettere dei paletti, dei punti fermi. Dedekind dice: il numero serve per contare. Dedekind, un grande matematico, uno scienziato; e direi anche filosofo. Sembra una battuta paradossale. Lungi dal volteggiare dentro le strategie dell’arte lui invece ribadisce: “No, il numero serve per questo: per contare”. E tuttavia il numero è un concetto ampio, vastissimo. E se io dicessi, con la stessa icastica semplicità: la parola serve per esprimersi? Ed è forse vero che noi dobbiamo cercare, come certa filosofia da tempo va elaborando, una parola originaria, quella di cui parla lo stesso Heidegger? Oppure la parola originaria siamo noi, sono le nostre stesse parole, i nostri riti? Dunque, io pongo una domanda: esiste un numero che si collochi concettualmente all’origine? È stato mai formulato?
SBORDONE
1, 2, 3 sono i numeri che si pongono all’origine; d’altra parte allo zero si è arrivati molto, ma molto dopo. Lo scopo di usare i numeri è di contare, appunto: quindi il primo numero è 1. Però poi c’è il 2, c’è il 3, numeri familiari, ma non scontati. E quando pensiamo alla scienza di oggi i numeri che intervengono sono 10 elevato a 50, che vuol dire miliardi di miliardi di miliardi… Più passa il tempo e più è necessario allargare la lista dei numeri.
TRIONE
Quindi i numeri sono non misurabili, sono in divenire?
SBORDONE
Sono infiniti. L’insieme dei soli numeri per contare è infinito, ma naturalmente occorre precisare questo concetto perché gli infiniti sono diversi, a seconda della loro declinazione in matematica, in poesia o in fisica. E, per restare alla matematica, un’altra distinzione importante è quella tra insiemi infiniti e finiti, come le dita della mia mano che sono cinque. Cosa vuol dire, qui, insieme finito? Vuol dire che questo insieme non può essere messo in corrispondenza biunivoca con una sua parte: io non potrò mai trovare una corrispondenza biunivoca tra le dita della mano destra e le dita della mano destra tolto il pollice mentre si può porre una corrispondenza biunivoca tra le dita della destra e le dita della sinistra. Ora: gli insiemi che non possono essere messi in corrispondenza biunivoca con una loro parte si chiamano appunto finiti. L’insieme di tutti i numeri naturali,viceversa, uno, due, tre, quattro…, può essere messo in corrispondenza biunivoca con una sua parte, per esempio con i numeri pari, dunque è infinito.
TRIONE
In matematica l’infinito deve essere sempre definito, volta a volta?
SBORDONE
Non deve essere: è definito.
TRIONE
Qui indubbiamente esiste una differenza profonda. Se in matematica gli infiniti devono comunque possedere una finitezza concettuale, viceversa nel campo della filosofia e dell’estetica l’infinito è uno, nessuno e centomila.
SBORDONE
Un infinito pirandelliano…
TRIONE
Un infinito che non finisce mai. Ma non perché non ci sia, piuttosto perché in esso si rimodulano problemi, strutture, significati molto vasti.
SBORDONE
Questo infinito è allora continuamente indefinibile?
TRIONE
Ecco, mentre in matematica possiamo, come giustamente argomentavi, muoverci entro una organizzazione compiuta che prende in esame l’analisi del numero, della sua finitezza, della sua specificità, per quanto riguarda le forme del mito e della fantasia errabonda, queste non sono immagazzinabili. Tu non puoi mai fermare questo infinito perché dentro c’è una sua legge, altrettanto infinita: quella del cosmo.
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