La freccia e il cerchio
anno 6, numero 6, 2015
pp. 39-41
2.
Giuseppe Giordano
Dalla matematica “ideale” alla matematica della natura
Parlare di passaggio dalla matematica “ideale” alla matematica della natura significa seguire un percorso che, nella cultura occidentale, riguarda essenzialmente – per ragioni che vedremo – la geometria. L’arco di tempo che questo passaggio investe coincide con la storia della nostra civiltà, dai Greci a oggi. È allora evidente che quello che propongo è un rapido itinerario attraverso quasi tremila anni di storia, un itinerario che non ha la pretesa di esaurire il problema, ma di offrire, piuttosto, una prospettiva.
Quello di cui voglio parlare sono le modalità secondo le quali si è declinato il rapporto tra matematica e realtà; rapporto che vede, in tempi recenti, un cambiamento epocale: da una visione in cui il mondo trova la sua oggettività nella matematica ed è necessitato da essa, a una visione in cui la matematica si fa “concreta” e non pretende di descrivere oggettivamente una realtà riducendola e rettificandola, ma la rende nella sua imperfezione.
È ben noto che le origini della matematica sono orientali e molto più lontane nel tempo della cultura occidentale, che nasce nell’antica Grecia. Ma proprio nella Grecia dei primi filosofi avviene qualcosa di nuovo e di importante. Questa novità è stata puntualmente individuata da Immanuel Kant, quando, nel 1787, nelle pagine della prefazione alla seconda edizione della Critica della ragion pura, ha scritto: «Il primo che dimostrò il triangolo isoscele (si chiamasse Talete o come si voglia), fu colpito da una gran luce: perché comprese ch’egli non doveva seguire a passo a passo ciò che vedeva nella figura, né attaccarsi al semplice concetto di questa figura, quasi per impararne le proprietà; ma, per mezzo di ciò che per i suoi stessi concetti vi pensava e rappresentava (per costruzione), produrla; e che, per sapere con sicurezza qualche cosa a priori, non doveva attribuire alla cosa se non ciò che scaturiva necessariamente da quello che, secondo il suo concetto, vi aveva posto egli stesso».
Kant con queste parole – che descrivono, in estrema concisione, perché la matematica è una scienza: perché è conoscenza “sintetica a priori” – non solo riconosce la necessità delle conseguenze che derivano, nel discorso matematico, dalle premesse, ma rende palese anche un’identificazione che ha la sua origine in Grecia, nella Grecia di Talete, l’identificazione della matematica con la razionalità. La svolta di Talete (o chi per lui) consiste proprio in questo: avere fatto della matematica la chiave di lettura della realtà. È proprio questo il ruolo – per citare il titolo di un bel libro di Morris Kline degli anni Cinquanta del secolo scorso – della “matematica nella cultura occidentale”.
Per suffragare quanto detto basta pensare alla descrizione di quei filosofi che della matematica e della geometria hanno fatto il fulcro del loro pensiero, i Pitagorici; basta pensare, dicevo, alla descrizione che ne fa Aristotele nella Metafisica, quando, dopo avere ricordato che «Platone pone i Numeri al di fuori dei sensibili», sostiene che «i Pitagorici affermano che i Numeri sono le cose stesse e non pongono gli Enti matematici come intermedi fra quelli e queste»; dopo avere detto ciò, Aristotele osserva criticamente: «[I Pitagorici] non vanno cercando teorie e cause per spiegare i fatti osservati, ma piuttosto vanno forzando le loro osservazioni e vanno tentando di accomodarle a certe loro teorie ed opinioni e andarono edificando, si potrebbe dire, come co-organizzatori dell’universo».
I Pitagorici si presentano, dunque, come i primi a indicare nella riduzione alla matematica l’essenza razionale della realtà. In ciò furono rapidamente seguiti, pur con le differenze che già Aristotele sinteticamente indicava, da Platone. Il filosofo ateniese, infatti, sostiene nel Timeo che alla base della realtà esperita c’è l’opera di un Demiurgo che «modellò con forme e con numeri» la materia. Tutto è riducibile a forme e la forma base è il triangolo. Per Platone, però, il fondamento di tutto ciò è non nel mondo reale, ma, al contrario di quanto sostenuto dai Pitagorici, nel mondo ideale. È questo mondo che l’“artefice divino” ha guardato per poi plasmare il mondo materiale.
La matematica in Platone è importante perché ha pure la funzione – soprattutto per il filosofo – di fare cogliere l’essenza immutabile del vero essere nella marea del divenire. Si tratta, in questo caso, di tematiche espresse nella Repubblica (dove si parla anche dell’aritmetica come forma di elevazione della mente attraverso l’uso di numeri astratti) che gettano le basi per l’attribuzione di un ruolo primario alla matematica o, meglio, alla ragione matematica nella cultura occidentale. E non è un caso, allora, che proprio un grande matematico – lo ricordo per inciso –, Alfred North Whitehead, ha sostenuto che tutta la storia della filosofia occidentale non è altro che un commento a Platone.
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