La freccia e il cerchio
anno 5, numero 5, 2014
pp. 167-169
5.
Chiara Ghidini
Voci in assenza. Gli Ainu del nord
nella storia del giappone moderno
Come è possibile comprare o vendere il cielo, il calore della terra?
L’idea ci suona strana. Se noi non possediamo la freschezza dell’aria
e il luccichio dell’acqua, come potete voi comprarli?
Gli Ainu sono la popolazione indigena del nord del Giappone dalle origini tutt’oggi incerte, che un tempo abitava il vasto territorio chiamato Ainu moshir (la terra degli uomini) e che ha subito, insieme ad altri gruppi “minoritari”, le politiche discriminatorie attuate nel corso della storia moderna giapponese. La loro voce è stata di fatto soppressa alla fine del XIX secolo con la Legge sulla Protezione degli ex aborigeni dell’isola di t (Hokkaidō kyōdojin hogohō kōfu, 1889, rivista nel 1937), attraverso una forma di colonizzazione interna articolata secondo rigide strategie di assimilazione culturale, legale e amministrativa, volte a trasformare gli Ainu in cittadini giapponesi, ovvero in soggetti imperiali, e a obliterare le loro tradizioni.
Tra il XIX e il XX secolo, le voci ainu sono sostituite dalle voci sugli Ainu: la loro storia, la loro lingua e la loro cultura, infatti, divengono oggetto di interesse e curiosità da parte di giapponesi ed europei con motivazioni e finalità spesso ambigue. Studiosi e viaggiatori europei annotano stupiti i tratti somatici ainu e li definiscono “ariani” (Albert Bickmore, 1868) oppure caucasici (Erwin Bälz, 1900), intravedono nei loro canti somiglianze con quelli popolari norvegesi (David Brauns, 1885) e descrivono in modo suggestivo le loro ingenue credenze animistiche (John Batchelor, 1901). In Italia, alla fine degli anni Trenta del secolo scorso, il famoso fotografo, poeta ed etnologo fiorentino Fosco Maraini (1912-2004) immortala “gli ultimi Ainu” nelle fotografie che ritraggono l’evento socio-religioso più importante di quelle comunità, ovvero lo iyomante, il rito dell’orso che si celebra nella stagione invernale con lo scopo di liberare lo spirito dell’animale e rispedirlo nel regno delle divinità.
La necessità di risalire alle origini etnico-linguistiche dei giapponesi e del giapponese rende gli Ainu oggetto di interesse accademico nazionale. Esponenti della nascente antropologia nipponica, avvalendosi della comparazione di resti di scheletri, ipotizzano somiglianze cruciali tra gli Ainu e l’antica popolazione del periodo Jōmon (circa 10,500 – 300 a.C.), mentre alcuni linguisti legati al Centro di ricerca sulla lingua nazionale presso l’Università imperiale di Tōkyō si dedicano allo studio della lingua ainu, come di altre “lingue periferiche”, allo scopo di ricostruire il proto-giapponese.
Intellettuali giapponesi ed europei del tempo, pur nella diversità della loro produzione, sono accomunati dalla persuasione che gli Ainu vadano considerati in stretta relazione con la nozione di “società primitiva”. Rimasti pressoché immutati sin dal periodo Jōmon, essi sarebbero destinati a scomparire con la colonizzazione giapponese dei loro territori (e con l’appropriazione da parte dei giapponesi delle loro ricchezze naturali): per usare la formula con cui l’antropologo Edwin Wilmsen ha definito i San del Kalahari in Africa meridionale, agli Ainu è “concessa l’antichità, ma negata la storia”.
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