La freccia e il cerchio
anno 4, numero 4, 2013
pp. 15-19

1.
la conversazione / the conversation

Stefano Manferlotti, Marisa Tortorelli
Oltre lo specchio, dentro la maschera

 

I. Unità e molteplicità

TORTORELLI

Se si esplora il paesaggio della filosofia antica, nell’ottica binaria dell’unità e della molteplicità, si individuano immediatamente, sin dalle origini, le tracce di due anime gemelle che si confrontano e si confondono: l’unità dell’essere di Parmenide e la molteplicità del divenire di Eraclito, l’essere del mondo e il divenire nel mondo. Si può raccordare questo binomio alla tematica maschera/specchio? Il confronto ha un senso? Nel mondo antico, esistono racconti mitici in cui specchiarsi è fatale. Penso innanzitutto al mito di Narciso, le cui molteplici varianti volgono in metafora il problema filosofico dell’immagine nello specchio. Narciso, tragico innamorato, confonde il suo riflesso nell’acqua con un essere reale. Cerca di raggiungere l’oggetto d’amore – il sé –, ma alla fine si perde nel riflesso – l’altro da sé – e muore, annegando nell’acqua o mutando forma, in un abbraccio malinconico tra bellezza e morte. Tra le trasposizioni moderne, il Traité du Narcise di Gide è l’unica versione del mito che rifiuta la morte di Narciso. Di fronte all’insostenibile credulità del Narciso classico che muore aspirando alla riunione impossibile, il Narciso di Gide, sottilmente post-idealistico, si condanna alla vita perché il mondo continui a vivere. Fermo sul fiume del tempo alla ricerca della propria anima perduta e confusa nel mondo sensibile, Narciso vede le immagini che si susseguono nell’acqua e s’accorge che il mondo esiste soltanto in funzione del suo sguardo. Senza l’uomo, non vi è tempo, né fiume, né oggetti.

MANFERLOTTI

Io direi che lo specchio anzitutto va richiamato alla sua funzione primaria, che è quella di riprodurre un’immagine, immagine virtuale che è una sorta di doppio della persona. Quindi, come dire, lo specchio nasce con un’ambiguità di fondo perché da un lato dovrebbe riflettere ciò che tu sei veramente, dall’altro offre solo un simulacro immateriale. E qui si inserisce la questione che sta alla base di tutta la narrativa, di tutta la poesia occidentale, ovvero il rapporto fra reale e immaginario: questo doppio che ci rimanda lo specchio è un doppio inquietante. Sin dal primo momento lo specchio ha questa duplice valenza: dovrebbe rimandarci alla realtà quale è – si dice “lo specchio delle cose”, “lo specchio del mondo”, “lo specchio della vita” – ma ciò che otteniamo è solo un’immagine anamorfica: concettualmente anamorfica, intendo dire.

TORTORELLI

Fra chi s’innamora della propria immagine e chi s’innamora di una statua, o di un ritratto, il passo sembra essere breve. La storia di Narciso è una delle tante storie pigmalioniche, in cui però, come dice Bettini, “il gioco si è trasformato in solitario”. Nella versione classica (la più nota è quella ovidiana), la morte di Narciso è seguita dalla sua trasformazione in fiore, il fiore del narciso. La metamorfosi potrebbe avere una preistoria nell’Inno omerico a Demetra. Questo testo del VII secolo a. C. narra che Persefone, attratta dalla bellezza straordinaria del narkissos-fiore (è qui la prima attestazione del termine), cerca di coglierlo, ma la terra si spalanca e al posto del fiore si manifesta Ade, il dio dei morti, che porta con sé la fanciulla negli inferi. Il fiore, come il fanciullo, è inganno e gioco. Il narciso (narkissos da narké), fiore funebre, con capacità narcotiche, è simbolo di morte: l’altro del narciso è Ade, il dio e il luogo. Dinanzi al fanciullo Narciso, che ammira il suo volto riflesso nell’acqua, s’apre una voragine non meno fatale. Artemidoro, nel suo trattato sui sogni, avverte: “guardarsi nell’acqua annuncia la morte di chi si specchia”.

MANFERLOTTI

Non si deve dimenticare che la parola narcisismo nel linguaggio comune connota un peccato, una forma di hybris, che ad esempio per il cristianesimo coincide con la vanità. Probabilmente alla negatività del narcisismo contribuì Freud quando vide nel comportamento narcisistico una patologia della psiche.

TORTORELLI

Pensando a Freud, e all’uso del mito greco per definire una patologia, è spontaneo chiedersi: Narciso era un narcisista? Vi sono nel mito ‘sintomi’ che potrebbero deporre a favore di questa diagnosi? L’originaria dimensione omoerotica della versione “greca” del mito di Narciso è riportata in superficie da Freud e giocata nell’inconscio. L’attrazione di Narciso verso la propria immagine è vissuta dal “narcisista” come pulsione di morte e percezione del proprio fallimento nel fallimento dell’immagine riflessa di Narciso.

MANFERLOTTI

Lacan parla della “fase dello specchio” (è il primo a teorizzarla), quando dice che il bambino intorno ai sei-sette mesi, guardandosi allo specchio, si riconosce come ‘io’. Questa fase di rispecchiamento, quindi, assolve ad una precisa necessità e non porta alla dissoluzione ma alla ricostruzione dell’io. Siamo sul versante opposto sia rispetto alla figura mitica di Narciso sia rispetto alla parabola tardo-ottocentesca racchiusa da Oscar Wilde nel Ritratto di Dorian Gray. Narciso, infatti, guarda, contempla la propria “bellezza”, mentre Dorian Gray contempla con dandystico distacco la propria catastrofe, la propria immagine che nello specchio giorno dopo giorno inesorabilmente invecchia.

TORTORELLI

L’improvvisa sensazione di alienazione che il mutamento d’aspetto genera in Dorian Gray somiglia a ciò che accade ad Atena quando, specchiandosi nell’acqua, s’accorge con raccapriccio che il suono del flauto, oggetto da lei stessa inventato, le deforma orrendamente il viso. Riconoscendo nello specchio d’acqua il proprio ripugnante doppio, Atena getta via il flauto. Lo raccoglierà Marsia. Anche Dorian Gray non esita a contemplare nello specchio il proprio disfacimento, ma il suo desiderio temerario, che è anche la sua condanna, è quello di restare sempre in possesso della propria bellezza, trasferendo sul ritratto i segni dell’invecchiamento. Un magico gioco di metamorfosi, in cui ciò che muta assume le sembianze di ciò che resta e viceversa; in cui l’immagine fissa diventa mobile, e quella mobile, riflessa nello specchio, resta invece sempre, paradossalmente, identica a se stessa.

MANFERLOTTI

L’intento di Dorian Gray, naturalmente, è quello di affermare il proprio io. Resta però il fatto che la metamorfosi finale è quella della deformazione, è quella della putredine. Mi pare indiscutibile.

TORTORELLI

Se trasformare il ritratto in uno specchio, o meglio attribuire al ritratto le proprietà dello specchio, è l’aspirazione di Dorian Gray, non è azzardato credere che il personaggio creato da Wilde sia una rivisitazione “estetizzante” del mito di Narciso, un Narciso cristallizzato, che esce miracolosamente fuori dal tempo.

MANFERLOTTI

È un mito fin de siècle, indubbiamente, che giunge con icasticità fantastica alla sua naturale e raggelante conclusione: nasce prima come peccato e con Wilde diventa poi disfacimento dell’io, un disfacimento che farà ampia strada nella cultura e nella letteratura occidentali perché, se vogliamo ancora una volta agganciarlo al tema della maschera e della frammentazione, possiamo arrivare fino a Pirandello. Con Pirandello hai la sanzione definitiva di quel malessere che era imprigionato nello specchio di Wilde.
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