La freccia e il cerchio
anno 4, numero 4, 2013
pp. 54-56
Francisco Jarauta
La maschera barocca del Don Giovanni
Jean Rousset, in una delle sue sempre attente riflessioni sul mondo barocco, scrive: “Prendiamo l’uomo dell’ostentazione e della simulazione, colui che si presenta in maniera diversa da com’è in realtà, l’attore, colui che porta delle maschere. Uniamolo al gusto per l’instabilità, alla propensione alla metamorfosi e otterremo, se non in forma definitiva, di certo una prima composizione del Don Giovanni che inventò il XVII secolo”. In effetti, il Don Giovanni di Tirso di Molina, a cui ovviamente si riferisce Rousset, riunisce in sé elementi che, provenendo da varie tradizioni e differenti formulazioni, messi insieme si mescolano secondo una idea complessa e talvolta facile come quella de El burlador de Sevilla. In questo modo, si incontrano tre concetti base: in primo luogo, il personaggio del teatro spagnolo dell’epoca, il gentiluomo attratto dal piacere e dalle avventure galanti; il tema folklorico, l’invito alla morte e la sua imminenza, il morto che parla; e infine il tema del Barocco europeo, l’incostanza. Di ognuno di questi elementi si incontrano varianti nell’ambito del teatro europeo, però è Tirso che dà al suo Don Giovanni un profilo proprio e una struttura propria, facendolo diventare una delle figure centrali della letteratura moderna e, se vogliamo, un mito che, costantemente reinterpretato, arriva ai nostri giorni con la forza pari a quella di altre figure come Don Chisciotte o il Faust. L’aura che li accompagna non nasce solo dal mito, ma dalla suggestione interpretativa che ciascuna di queste tre figure genera. In loro si esprimono e si rappresentano quelle altre condizioni dell’esperienza moderna e della sua configurazione temporale, cioè la tensione tra storia e immaginario culturale, tra la storia che si definisce nei termini degli eventi che la costituiscono e quella linea d’ombra che ne segue, e che l’immaginario e la letteratura, in quanto parte fondamentale del suo racconto, configurano.
Non è semplice spiegare il processo, rivisitato mille volte, di tutti quei momenti della critica durante i quali la figura del Don Giovanni è stata reinterpretata. Come se si trattasse di un’ossessione – annotava M. Sauvage in Le Cas Don Juan nel numero 4 di Obliques – la figura del Burlador nell’atto di sfidare il destino ha fondato nella letteratura moderna uno dei luoghi che articolano gli elementi della tragedia classica con quelle altre forme che nel teatro successivo, moderno e contemporaneo, hanno interpretato la condizione umana di fronte alla fatalità e alla sua forma estrema che è la morte. In ogni caso, i riflessi europei e i loro sviluppi posteriori – principalmente dal Don Giovanni di Molière al Don Giovanni di Mozart-Da Ponte – hanno costituito una delle costellazioni letterarie di maggiore fortuna nella critica, dando luogo a letture infinite sul tema e sulle sue implicazioni. Sarebbe sufficiente attingere ai repertori già classici di A.E. Singer, L. Weinstein, R. Sender, M. Nozick o B. Wittman, tra gli altri, per capire non solo la complessità delle letture, ma anche le varianti che il tema del Don Juan ha fornito alla letteratura e al pensiero moderno e contemporaneo: un impatto che per essere capito obbligherebbe a un viaggio completo nei momenti e nelle varianti di una ricezione che dovrebbe necessariamente soffermarsi su Kierkegaard, Byron, Puskin, Shaw, Juan Zorrilla, Gregorio Marañón, Max Frisch y Bertold Brecht, Gide, André Delvaux o in Ingmar Bergman, tra gli altri. Una lunga serie che, nella sua interezza, esprimerebbe la straordinaria fortuna di un tema che ha finito col diventare, come ha detto lo stesso Jean Rousset, un mito della letteratura occidentale.
Senza alcun dubbio, questa fortuna ha i suoi fondamenti in due ragioni principali: la prima, che deriva dalla struttura drammatica dell’opera di Tirso, ovvero il riunire in una composizione quegli elementi qui già citati e che nella loro articolazione ricostruiscono materiali letterari che in precedenza avevano ottenuto sviluppi precisi. Particolare è l’osservazione di Kierkegaard nel suo saggio sul Don Giovanni e la musica di Mozart dove fa notare che bisogna cercare l’origine del tema nelle sue radici cristiane e, più concretamente, in quelle medioevali del tema del Don Giovanni. “Il cristianesimo ha introdotto la sensualità nel mondo nel momento in cui l’ha proibita e negata”. Il Don Giovanni solleciterebbe tutto quello che era stato escluso dalla cultura e dall’esperienza umana. In secondo luogo, la stessa struttura drammatica diventa il luogo di una discussione che, soprattutto nel XVII secolo acquisisce una rilevanza molto significativa, discorso che in nessuna maniera è diventato questione propria della cultura moderna europea. Non bisogna dimenticare che il Don Giovanni di Tirso va di pari passo con l’altro grande tema del Codenado por desconfiado, nel quale gli argomenti teologici della predestinazione, della grazie e della salvezza dell’anima hanno un ruolo fondamentale, in seguito reinterpretato attraverso le varianti del tema. Oggi sarebbe impossibile stabilire un’interpretazione del tema senza soffermarsi sulla discussione teologica dell’epoca a proposito di questi argomenti che certamente abbracciano, tra gli altri, la riflessione moderna sulla condizione umana che la Controriforma fece diventare uno dei luoghi forti del dibattito teologico e che porterà al pensiero di Pascal, Molinos, Malebranche e altri ancora.
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