La freccia e il cerchio
anno 3, numero 3, 2012
pp. 211-213

8.
Donatella Trotta
Vagare e divagare oltre il giardino segreto

La letteratura è la casa della sfumatura e della contraddizione
che si oppone alle voci della semplificazione
(Susan Sontag)

Scrivere è sempre un parlare dell’infanzia: è sempre un atto di nostalgia
(Jean Genet)

Io sono della mia infanzia come di un paese
(Antoine de Saint-Exupéry)

La maturità non significa superare, ma crescere:
un adulto non è un bambino che ha cessato di vivere,
ma un bambino che è sopravvissuto
(Ursula K. Le Guin)

QUASI UNA PREMESSA: SULLE TRACCE Di FATA INCONGRUENZA. Vagare, divagare, girovagare.Attraversare sentieri di boschi narrativi in un orizzonte internazionale in cerca di qualche fiore prezioso gemmato da una diade spiazzante – festa, famiglia – che sembra più rigogliosamente sbocciare e dare frutti in quel territorio alla frontiera, «zona di riserva» o giardino segreto che è la letteratura per l’infanzia: creatura di creature relativamente giovane, se si pensa al suo corpus di testi non solo moralistico-pedagogici o spudoratamente ideologici concepiti per educare e condizionare, ma ai materiali nati – dopo la seconda metà del Settecento e oltre – anche e soprattutto per emozionare e divertire, in senso etimologico; creatura perciò «amorfa, ambigua», segnata per Peter Hunt (in Literature for Children: Contemporary Criticism, Londra, Routledge 1992) da un difficile rapporto con il pubblico, inestricabilmente legata al processo di evoluzione del ruolo sociale dei bambini (della famiglia, della scuola) e perciò influenzata da elementi extraletterari quali i fattori economici, politici, storici, filosofici, pedagogici, demografici. Ma, sempre, in una dimensione potentemente estetica: etica, ed estetica. Dove, davvero, si possono incrociare sguardi diversi e differenti segni, visioni, sogni e bisogni.
   E allora, ecco: tentare di seguire le impronte lasciate da quella fata madrina che «siede benefica accanto alla culla di certa letteratura per l’infanzia» e che Antonio Faeti chiama Fata Incongruenza. Vagabondare da flâneurs dentro le sue architetture letterarie, guardare le figure che le illustrano, sostare ai crocevia di storie senza confini che nutrono l’immaginario di ogni età e travalicano continuamente generi, discipline e linguaggi diversi, con libri-ponte che traghettano fra testi e immagini, fumetti e film, cartoni animati, graphic novels, sceneggiati tv e pièces teatrali. Perdersi così, e ritrovarsi, nei labirinti di parole inanellate come perle – perleparole, ci ricorda Chiara Carminati – perché «…Le parole sono perle/ tra le dita dei poeti/ che s’incantano a girarle/ come piccoli pianeti. /Le parole sono perle/ chiuse in cuori di conchiglie/ quando parli schiudi e sciogli / le collane meraviglie» (da Perlaparola. Bambini e ragazzi nelle stanze della poesia, Modena, Equilibri 2011). Coltivare insomma parole, come microcosmi di coscienza: alla Vygotskij. Parole spesso inscindibili dalle immagini, come avviene nei libri di quell’indimenticabile poeta dell’acquarello e dell’infanzia che è stato Pinin Carpi, babbo e nonno di molti, ben oltre la sua numerosa e artistica famiglia.
   IL FILO DI ARIANDERSEN. Ma occorre davvero un filo di Ariandersen – come auspicava l’acume di Giuseppe Pontremoli in Giocando parole. La letteratura e i bambini, L’ancora del Mediterraneo 2005 – per avventurarsi, in cerca della diade festafamiglia, nel dedalico castello dei destini incrociati, a picco sull’oceano mare della letteratura per ragazzi: ex grande esclusa (secondo la nota definizione quasi quarantennale di Francesca Butler, nella stagione dello “sdoganamento” della disciplina negli Stati Uniti), in anni recenti legittimata fino a diventare, in Italia, «nuova provincia letteraria» (Giuseppe Petronio) o, meglio, periferia “incantata” di un canone letterario “alto” in cui ancora oggi continua tuttavia – inspiegabilmente – a restare ai margini, soprattutto mediatici, dalla sua nascita per così dire organica agli albori dello Stato nazionale. Latitante, comunque, nella totalità dei manuali di storia letteraria: anche quelli monumentali, come sottolineano Pino Boero e il compianto Carmine De Luca nella loro stimolante ricostruzione storica articolata con una pluralità di punti di vista (La letteratura per l’infanzia, Bari, Laterza, 1995); tanto da far risultare «normale» – ricordano gli autori – che persino «le bibliografie più accurate dei nostri narratori e poeti», celebri e meno noti, «omettano le opere scritte per l’infanzia».
   E pensare che già se ne lamentava Gianni Rodari nel 1969, quando scriveva, intervenendo su La letteratura infantile oggi (in «Scuola e città», n. 3), che essa «attende ancora che gli storici e i critici della letteratura tout court (quelli coi calzoni lunghi, ecco) si occupino di lei almeno quanto si occupano di altri fenomeni culturali»; e sottolineava la «scarsa considerazione in cui tuttora è tenuto tra noi lo scrittore per ragazzi dall’insieme della società culturale, quasi che mettersi al servizio dei ragazzi, delle famiglie, della scuola, fosse un’attività poco dignitosa, da lasciare a chi non ha saputo trovare altri campi di affermazione, del resto oggi tanto numerosi e facili». Considerazioni amare, ma – purtroppo – tutt’altro che inattuali.
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