La freccia e il cerchio
anno 3, numero 3, 2012
pp. 150-152

André Jacob
Familiare e festivo

   Lo slittamento semantico dall’aggettivo domestico a familiare potrebbe accentuare, anche, la contrapposizione con quello di festivo dal momento che una delle caratteristiche più significative della familiarità consiste nel prestarsi alla dimenticanza, nonostante l’inevitabile trambusto tipico della festa. Tuttavia, un altro aspetto del familiare può comportare un’intensificazione dell’esperienza, come succede, ad esempio, per la fiducia riposta nell’amicizia. Si tratterebbe, allora, dell’instaurarsi duraturo di un «essere alla festa» che esprime una riuscita affettiva o assiologica e non una banalizzazione che rischierebbe di contraddirla.
   Dal punto di vista figurativo, il circuito del familiare non dovrebbe rappresentare un bersaglio per le frecce dell’insolito, ma quando la familiarità non è sufficiente essa tende a raggiungere il picco della tensione conica capace di diramazioni che valorizzano la diversità. E così, anche le diverse crisi che investono la famiglia “scombussolata”, come recita un recente titolo di Elisabeth Roudinesco, riguardano il tema di una sicurezza che essa non sarebbe in grado di garantire, dilaniata, com’è, da conflitti altrettanto inevitabili. Ed è, in parte, proprio grazie a questo aspetto che la chiusura, intesa come “sferizzazione” si pone in termini problematici, nonostante la rinuncia di responsabilità a cui tendono a cedere in tanti. Anche il passaggio dall’ambito del domestico alla ricerca di un’intensità e di una diversità vivificanti per la stessa familiarità, manifesta gli slittamenti da una dimensione istituzionale verso un dinamismo tutto a favore di una personalità aperta.
   I risultati consistono in una crescente relativizzazione dei compiti e dell’influenza della famiglia, che riduce il numero di fili da “riannodare” all’interno dei nostri ambienti sempre più fluidi e complessi. Se si instaura un meccanismo di compensazione, si deve al regredire di contrapposizioni incapaci di rivestire il ruolo loro assegnato, quello del corpo e dell’anima, in particolare, rispetto alla cui relazione non ci si sarebbe potuti aspettare, se non arbitrariamente, l’elevarsi dell’uno al ridimensionarsi dell’altro, impegnato nello stesso slancio, ma entrambi partecipi della conquista antropologica della stazione eretta che di per sé non costituirebbe né un limite né un obiettivo. Si tratterebbe, perciò, di una stazione nel significato etimologico di stare con l’intenzione di promuovere ogni tipo di formazione simbolica capace di ordire il mondo di senso nei termini di una vera e propria «vita dello spirito». Il carattere «sostanziale» a lungo attribuito alla nozione di anima, non le risparmierebbe il rischio di una «nudità» o di una indeterminatezza – e non il fatto di essere «rappresa» in una buona volontà innata – di fronte agli assalti della violenza dei corpi stessi.
   Al contrario, la «non-stanzialità» che caratterizza, costantemente, il processo di «soggettivizzazione» dell’individuo, ampiamente sottovalutato, e che consta del nostro corpo, contribuisce a rafforzare le reazioni di autonomia e di apertura relazionale. Essa, infatti, condiziona gli obiettivi esistenziali che non riguardano direttamente il nostro modo di riferirci alla nozione di «vitale». Le manifestazioni di questa «non-stanzialità» – di cui le «istanze di discorso» di Emile Benveniste potrebbero rappresentare una delle modalità – consistono, indubbiamente, nel processo, necessario, di «esistenzializzazione» della vita.
   È la lingua stessa, infatti, ad entrare in gioco per consentire lo slittamento da istanze metafisiche ad istanze teoretiche che consentano di riflettere l’universo orientandoci in modo coerente verso i nostri simili. Certo, un tale risultato deriva da un costante processo di «instanzializzazione» (già proposto nel 2004 nell’ambito del seminario di Claude Hagège al Collège de France) che contribuisce ad un processo di «soggettivizzazzione» cronologicamente successivo rispetto a quello precedente. Articolato attraverso l’alternanza dell’in-stans e del con-stans, che sostituisce la dimensione dello stans fisico, esso dischiude la nostra condizione spaziale di «presenza-rispetto-ad-un-ambien- te» al processo di «temporalizzazione». Questa dimensione costruttiva è inedita e, indubbiamente, coestensiva rispetto alla nostra esperienza temporale – in termini di rapporti demoltiplicati e astratti con lo spazio – ma anche ai processi di «simbolizzazione» e di «auto-nomizzazione» in cui, la spontaneità del corpo si riflette in un Sé la cui apertura verso l’Altro rompe con una «ego-izzazione» che ci ripiega nella dimensione – alienante – dell’Identico.
   Tuttavia, l’«instanzializzazione» non rappresenta una svolta arbitraria per chiarire il concetto di familiarità. Piuttosto, essa fornisce la trama di un tessuto leggibile come un testo fondamentale per la nostra esistenza e gli scambi comunicativi che la caratterizzano. Lo sviluppo relativo alla condizione di «instanzialità» come espressione di possibilità, evoluzione e reciprocità, legittimando una pluralità di occasioni esistenziali, s’impegna affinché gli affetti che oltrepassano rigidità prive di senso generino, invece, un sentimento festivo.

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