La freccia e il cerchio
anno 2, numero 2, 2011
pp. 13-17

1.
la conversazione / the conversation

Romeo De Maio, Aldo Masullo
L’invenzione della memoria

 

I. Tra legge e mitologia

DE MAIO

Intendo per memoria il cammino che essa compie nella ininterrotta consegna di eventi, immagini, idee. A questo proposito, in questo flusso, il rapporto tra memoria e mitologia è fondamentale perché la mitologia inventa un linguaggio metaforico, che integra e sostiene; e che conduce altrove: a quel bivio dove si incrociano la riflessione sulla memoria e l’essenza spirituale dei fatti. Ma la mitologia, in realtà, è già coscienza! È il canale per cui percepiamo, o meglio sentiamo la filosofia prima che essa si configuri sotto forma concettuale.

MASULLO

La mitologia non è altro che l’ideale libro dei grandi racconti originari di una civiltà. I racconti mitologici riferiscono di un passato che non passa mai perché, letteralmente, mai avvenuto. Sono metafore morali, narrazioni illimitatamente ripetibili, favole. Il contenuto del mito non è la cronaca di un evento, ma un’ammonizione o un insegnamento validi in ogni tempo. Vi si riassumono esperienze di una collettività trasfigurate in personaggi ideali, in esemplari presenze fantastiche, in personaggi e azioni senza tempo. Si tratta di racconti che, sia pure con non sostanziali varianti, si tramandano di generazione in generazione, volta a volta mediando, in chi ascolta, tra l’attesa del già saputo e la sorpresa del rinnovato favoleggiare.

DE MAIO

Ma allora, secondo te, cos’è la mitologia? Una memoria sedimentata?

MASULLO

La memoria è una costruzione complessa, opera di una cultura prima che d’individui e da questo punto di vista finisce per coincidere, in effetti, con una sedimentazione, con il formarsi di un’opera cui tanti hanno contribuito. I poemi omerici, come le saghe di tutte le civiltà, sono grandiose costruzioni memoriali, che non cessano di comunicare un determinato senso di vita, fondamento coesivo di una società.

DE MAIO

È importante allargare il raggio della memoria, comprendere nel suo perimetro mutevole, liquido, tutti quei fenomeni apparentemente contraddittori che la compongono. E se è impossibile non chiamare in causa la mitologia, occorre anche ribadire che la memoria costituisce la premessa agli esami razionalistici. Quando nel Rinascimento Marsilio Ficino e lo stesso Poliziano, ancor prima di Giordano Bruno, si trovano davanti al problema della tradizione mnemonica, lo affrontano non più con la riflessione sul divino, ma con la libertà dell’indagine; e la memoria diviene una sorta di misteriosa scrittura, o almeno una logica scrittura. Studiare la memoria, oggi, significa tener conto criticamente di ciò che è avvenuto in due momenti fondamentali: uno, naturalmente, il momento della cultura socratico-platonica in Grecia, quando le idee divengono il collante della memoria, gli anelli di congiunzione del passato mitico alle realtà del presente; l’altro, l’Umanesimo, dove effettivamente la natura degli eventi che si prestavano alla superstizione o al sentimentalismo, venivano rifiutati o modificati. Tematiche che furono essenziali, volendo fare un solo significativo esempio, per Lorenzo Valla, il padre della filologia moderna, il quale, a proposito della donazione di Costantino, non studiò più il problema da un punto di vista iconografico, o da un punto di vista religioso, o da un punto di vista, diciamo così, poetico: bensì impegnò nella verifica degli assunti la sovranità della ragione, in una maniera che potremmo dire quasi da assedio. Non si sfugge più al dominio della ragione: da allora, la letteratura storica è impostata sulla lingua dei documenti.

MASULLO

Profittando di queste osservazioni di Romeo, vorrei ribadire subito la fondamentalità sociale della memoria. Senza la capacità di costruire una memoria, una società non potrebbe costituirsi. Senza gli archivi, depositi della memoria, nessuna istituzione funzionerebbe. Infatti, fin quando non venne inventata la scrittura, figure centrali del potere organizzato erano i funzionari della memoria, coloro che nella mente conservavano con diligenza il ricordo degli eventi significativi del passato comune.

DE MAIO

L’archivista maggiore. Colui che tramanda la memoria orale…

MASULLO

Che precede quella scritta. La memoria, in ogni sua forma, è una funzione necessaria nello sviluppo e nella conservazione di un organismo sociale. Senza, la società mancherebbe di struttura, non reggerebbe.

DE MAIO

Così come non si costruisce senza individuare i limiti della memoria stessa.

MASULLO

Ma la memoria, in quanto tale, comporta costitutivamente i suoi limiti. Lo stesso, l’intrinsichezza di un limite proprio, del resto, va riconosciuto, per esempio, anche per la funzione normativa. Noi qui ancora una volta giochiamo sulla giuntura inevitabilmente elastica tra il fare, l’agire e il subire; penso in particolare al nomos basileus di cui parla Pindaro, il decreto re, la legge fondamentale, che rende possibile e legittima tutte le altre. Si tratta dell’intrinseco bisogno, che l’uomo ha – in quanto uomo sociale – di darsi regole.

DE MAIO

Forse bisognerebbe sottolineare questo aspetto con un accadimento di ordine cronologico che ci fu in Atene: in origine, quando si parlava di giustizia, di legge, la dike, ossia la giustizia, era sempre scritta in maiuscolo. Poi, a partire da Alceo, venne un momento in cui la dike veniva scritta in minuscolo: era il risultato della sopravvenuta maturità di coscienza dell’uomo, che andava creando le condizioni del vivere sociale e dell’ispirazione politica.

MASULLO

Sì. L’idea di legge nasce negli uomini come idea di un limite che gli dèi, o il fato pongono all’uomo. Ma già il pensare che un dio o il fato abbiano posto in me l’idea di un limite, di un confine per la mia libertà, il divieto di andare oltre, è trovare in sé, nella propria mente la necessità della legge. D’altra parte, nel più celebre testo della poesia tragica greca, lo scontro fra Antigone, che nel rispetto della legge patriarcale intende seppellire il cadavere del fratello, e il re Creonte, che esige l’inflessibile applicazione del divieto politico di dare onore funebre a un nemico della patria, non è, come per lo più si dice, il contrasto tra legge naturale e legge positiva. In fondo anche la legge di Antigone non è naturale bensì positiva: è pur sempre funzione di un ordine sociale in tempore, in cui non è ancora posta dal potere una norma scritta, bensì una regola sacra si trova pur posta nel corpo di una tradizione. Creonte rappresenta la nuova idea della legge come espressione di una società laicizzata, non più tribale, bensì politica. Antigone e Creonte escono dallo scontro entrambi idealmente sconfitti, l’uno e l’altro incapaci di comprendere i limiti delle proprie rispettive ragioni.

DE MAIO

Mi ha fatto sempre impressione la figura di Antigone, la sua tragica ineluttabilità; e mi fa venire in mente un altro mito illuminante sulla concezione della legge, un’altra figura dai risvolti almeno duplici: la Sfinge, simbolo del mistero in Egitto e della ragion critica in Grecia. La Sfinge sfida chiunque vuole diventare re di Tebe a spiegargli la costituzione dello stato e la responsabilità individuale dei cittadini. Tutti falliscono; tutti, fornendo tronfie risposte, vedono umiliata la propria presunta saggezza. Edipo, viceversa, chiarisce l’enigma proprio perché accetta senza paura il dialogo con la Sfinge; e la Sfinge, infine, riconosce in lui – di là dal drammatico groviglio familiare che lo condurrà alla pazzia – il governante ideale, perché capace di fondare le sue leggi sulla ragione, una ragione dialettica.
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