La freccia e il cerchio
anno 2, numero 2, 2011
pp. 209-210

Janna Smith Malamud
La privacy e i suoi limiti

   I. «Quando il mio amore giura di essere sincera – sostiene Shakespeare nel Sonetto 138 – io le credo, sebbene sappia che ella mente».
   Come questo sentimento, la privacy costituisce un paradosso psicologico, non facilmente definibile; lo si comprende meglio attraverso le sue contraddizioni e i suoi limiti. Di solito, quando pensiamo alla privacy, siamo inclini ad associarla alla solitudine; ad esempio, a Henry Thoreau, che viveva nella sua capanna nei pressi del lago di Walden, oppure a Greta Garbo in Grand Hotel che piagnucolava: «Voglio restare sola». Ma la solitudine è soltanto una delle dimensioni della privacy. Alan Westin, la cui opera del 1968, Privacy and Freedom, è un testo fondamentale in materia, riteneva che il concetto di privacy comprendesse anche lo stato di anonimato, la riservatezza e l’intimità. La stessa privacy è, forse, stata meglio definita da Sissela Bok, la quale ha scritto, che essa è «la condizione per potersi proteggere da approcci indesiderati da parte di altri – si tratti di approcci fisici, o di ricerca di informazioni personali, o di eccessiva attenzione». Oppure, come io stessa ho scritto altrove «Poche cose nella vita sono tanto preziose quanto la libertà di dire e fare qualcosa assieme alle persone che si amano, cose che non si direbbero o si farebbero se qualcun altro fosse presente. E poche esperienze sono così fondamentali per la libertà e l’autonomia dell’individuo quanto quella di essere in grado di mantenere il controllo sul come, a chi, e dove divulghiamo materiale privato».
   La privacy è una condizione non facilmente definibile dell’essere e della mente; è uno spazio, spesso sia psicologico che fisico, nel quale un individuo può esistere senza essere soggetto a coercizioni e molestie. Sono fondamentali, allora, le scelte che si fanno. Se scelgo di risiedere in una capanna nei boschi, cerco la solitudine,uno stato di privacy. Ma se sono costretto/a alla segregazione in una prigione, la mia solitudine non è più una scelta, e ben presto si trasforma in un terribile isolamento che, molto probabilmente, mi farà impazzire nel giro di pochi minuti o di alcune ore.
   Allo stesso tempo, potrei godere del mio anonimato mentre, da solo/a, cammino tra la folla sulla Fifth Avenue a Manhattan. Posso essere felice di non conoscere nessuno e aspettarmi che nessuno mi riconosca o mi saluti. Ma se, al termine della mia passeggiata, mi manca un posto dove andare e dove sarò riconosciuto/a e dove qualcuno si prenderà cura di me, il mio stato di anonimato, dettato da una scelta personale, può diventare un’esperienza oppressiva di anonimia. Potrei cominciare a sentirmi disorientato/a, alienato/a, troppo isolato/a per ricevere aiuto.
   Laddove entra in gioco la riservatezza, posso trovarmi anche tra persone che conosco bene, e posso provare e pensare molte cose, ma sto scegliendo cosa dire e cosa tenere per me. La riservatezza è fondamentale per la privacy, forse la più essenziale fonte di libertà nella vita.

   Si può vivere nei quartieri più affollati, continuamente circondati dagli altri e, tuttavia, conservare la propria privacy e la propria riservatezza. Ad ogni modo, se qualcuno mi interrogasse minacciando la mia incolumità fisica, probabilmente direi qualsiasi cosa volesse sapere; in tal caso la mia riservatezza sarà violata, e i miei pensieri privati non risulterebbero più privati (un terzo bicchiere di vino potrebbe sortire lo stesso effetto). Oppure, al contrario, potrei restare prigioniero della mia stessa mente. Se desidero raccontare a un mio interlocutore i miei dolori, le mie gioie o le mie passioni, sentendomi, tuttavia, incapace di rivelare me stessa/o, la mia riservatezza diventerà una trappola, e il piacere della privacy – il controllo su ciò che rivelo – si perderà per la mia incapacità e le mie inibizioni.
   Quando mi riferisco alla intimità, la mia privacy si definisce come libertà di scegliere il mio comportamento, sapendo che nessuno mi osserva, ad eccezione del mio partner. Sono libero/a di esprimere me stesso/a o di abbandonarmi sessualmente. Ma l’intimità assume un sapore amaro e perde la sua aura di privacy quando non è più frutto di una scelta reciproca e consensuale. Se il mio compagno continua a tenermi troppo stretta, quando io invece voglio separarmene, oppure mi segue come un’ombra, quando mi sono allontanato/a, quel che era intimità si trasforma in invadenza o oppressione. Allo stesso modo, inoltre, se di nascosto lo/la riprendo con una telecamera, corrompo e, probabilmente, distruggo l’intimità con il controllo che esercito di nascosto.
   Privacy è un termine spesso usato erroneamente come un eufemismo per segretezza. Qualcuno potrebbe affermare che le proprie illecite relazioni sessuali sono private, volendo dire che le sta nascondendo intenzionalmente. Eppure, il nascondere in maniera intenzionale non è la stessa cosa che mantenere qualcosa privato. Potrei tenere un diario privato in cui scrivo i miei pensieri. Sta a me decidere se condividere ciò che ho scritto con un amico, oppure usarlo come base per un altro scritto. Il mio diario è privato perché non lo pubblico nella sua totalità, o non lo lascio in giro perché tutti lo possano leggere. Sono io a scegliere quali parti voglio condividere e con chi. E le mie scelte possono essere differenti, cambiare di mese in mese, di anno in anno. Ho il pieno controllo su quello che gli altri vedono e quando farglielo vedere. Ma se avessi scritto nella Germania dell’Est di trenta anni fa, o fossi la figlia adolescente di un genitore invadente che mi spia, potrei scegliere di chiudere il diario in un posto molto segreto lontano da occhi che mi spiano. Sarei costretto/a a rendere il mio diario segreto in modo da conservarlo privato.
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