La freccia e il cerchio
anno 1, numero 1, 2010
pp. 13-18
1.
la conversazione / the conversation
Maurizio Ferraris, Ernesto Paolozzi
Automa sarà lei!
I. Calunnie sull’automa
FERRARIS
“Lo spirito vivifica, la lettera uccide”. Sono convinto che anche chi, per remotissima ipotesi, ignorasse questo versetto evangelico, assegnerebbe allo spirito una netta prevalenza rispetto alla lettera. È una gerarchia che si impone anche senza l’intervento di esplicite mediazioni culturali: lo spirito è il bene, la lettera è il male, lo spirito è vita, la lettera è morte, la parola è viva, la lettera no, e ovviamente l’automa è cattivo e l’anima è buona. È un luogo comune che unisce tanto chi non sa assolutamente nulla di lettere e filosofia (una coppia che ha a che fare con la contrapposizione tra lettera e spirito, e tra automa e anima), quanto poeti e filosofi. C’è un passo di Baudelaire in Il mio cuore messo a nudo in cui si legge: “Bella congiura da organizzare per lo sterminio della razza ebraica. Gli ebrei, bibliotecari e testimoni della redenzione”. Il brano è di un antisemitismo agghiacciante. Benjamin, citando questo passo e commentandolo, lo minimizza, mentre Pichois, l’editore di Baudelaire nella Pléiade, scrive: “Questo passo è difficile da interpretare, comunque qualunque antisemitismo è da escludersi”, il che mi sembra una denegazione monumentale. E si direbbe che qui la colpa degli ebrei sarebbe il fatto di avere a che fare con le lettere: del resto, non era Cristo che se la prendeva con scribi e farisei? Ora – e questo tocca a mio parere il nocciolo della nostra conversazione – avrebbe potuto tranquillamente, e per la stessa logica, prendersela con gli automi: lo spirito è la parte buona, ed è l’anima; la lettera è la parte cattiva, ed è l’automa. Stesso meccanismo nel Fedro di Platone quando, per l’appunto, si condanna la scrittura perché è una forma di anima portata fuori, portata all’esterno e divenuta quindi anima tecnica, automa. Tuttavia, quando si tratta di descrivere il discor so vero, Platone dice che è quello scritto nell’anima, e l’anima, a sua volta, viene paragonata a un libro. È come se si dicesse che l’anima è il bene e l’automa è il male, ma poi si scoprissero due cose. Primo, che l’anima è il bene perché l’automa è il male (l’anima non ha altra positività se non quella che deriva dal confronto con l’automa, proprio come la positività dei leghisti si riduce a non essere meridionali). Secondo, che l’anima è come l’automa, solo che è un automa buono, mentre l’automa è un automa cattivo. Eravamo partiti con l’anima e l’automa, e ci troviamo di fronte a un capitolo della Genealogia della morale. Voglio dire che in queste distinzioni, che sembrano essere puramente funzionali o tecniche, si nascondono una assiologia e una morale. La stessa, se vogliamo, che spinge a privilegiare i cibi biologici e gli atteggiamenti spontanei. Quindi, non solo anima e automa sono una coppia i cui termini non si possono pensare separatamente, ma il termine cattivo, l’automa, è, più che un concetto, un sospetto o un insulto: “automa sono gli altri”.
PAOLOZZI
Anch’io, naturalmente, avevo fatto un primo pensiero all’anima platonica, e poi alla complicazione dell’anima aristotelica che è un’altra cosa, anzi per certi aspetti è un gigantesco automa che finisce col governare il mondo intero. Ma c’è anche tutta la preoccupazione della filosofia moderna, da Cartesio fino a Kant, nel tentativo da un lato di scartare l’anima come idea metafisica, ma poi di non saper dire cosa un’anima sia, se metafisica o schematica. Evitiamo dunque il luogo comune secondo cui l’anima è bella, l’automa cattivo e negativo. Teniamo conto, però, che nella storia della cultura è ben presente anche l’idea che l’automa possa essere la contrapposizione per così dire vincente sull’anima. Pensiamo alla psicanalisi: l’anima concettualizzata da Freud ha una funzione puramente meccanicistica… E malgrado il riferimento sia abusato, non posso non citare qui La strana avventura del dottor Jekyll e di Mister Hyde. Perché lì ci sono un’anima buona e un’anima cattiva, la seconda creata dalla prima attraverso un esperimento scientifico volta a volta sempre più irreversibile: così l’anima meccanica, quindi l’automa, il male, finisce col prendere il sopravvento, mentre l’anima bella resta inchiodata al bene. Ma il messaggio vero, di là dalla contrapposizione, è che in realtà non esiste l’anima di per sé, con un automa a fronte. In sostanza, sempre un’anima è anche un automa così come un automa è un’anima, siamo in un rapporto di reciprocità dialettica indistinguibile. Il racconto drammatizza la condanna dell’astrattezza, non dell’automa, perché Stevenson aveva capito una cosa: se tu cerchi astrattamente di separare il bene dal male, anche con le migliori intenzioni, per far trionfare il bene, non ci puoi riuscire, perché nella realtà noi siamo sempre tanto automi quanto anime, se per anime intendiamo la libertà rispetto alla meccanicità.FERRARIS “Lo spirito vivifica, la lettera uccide”. Sono convinto che anche chi, per remotissima ipotesi, ignorasse questo versetto evangelico, assegnerebbe allo spirito una netta prevalenza rispetto alla lettera. È una gerarchia che si impone anche senza l’intervento di esplicite mediazioni culturali: lo spirito è il bene, la lettera è il male, lo spirito è vita, la lettera è morte, la parola è viva, la lettera no, e ovviamente l’automa è cattivo e l’anima è buona. È un luogo comune che unisce tanto chi non sa assolutamente nulla di lettere e filosofia (una coppia che ha a che fare con la contrapposizione tra lettera e spirito, e tra automa e anima), quanto poeti e filosofi. C’è un passo di Baudelaire in Il mio cuore messo a nudo in cui si legge: “Bella congiura da organizzare per lo sterminio della razza ebraica. Gli ebrei, bibliotecari e testimoni della redenzione”. Il brano è di un antisemitismo agghiacciante. Benjamin, citando questo passo e commentandolo, lo minimizza, mentre Pichois, l’editore di Baudelaire nella Pléiade, scrive: “Questo passo è difficile da interpretare, comunque qualunque antisemitismo è da escludersi”, il che mi sembra una denegazione monumentale. E si direbbe che qui la colpa degli ebrei sarebbe il fatto di avere a che fare con le lettere: del resto, non era Cristo che se la prendeva con scribi e farisei? Ora – e questo tocca a mio parere il nocciolo della nostra conversazione – avrebbe potuto tranquillamente, e per la stessa logica, prendersela con gli automi: lo spirito è la parte buona, ed è l’anima; la lettera è la parte cattiva, ed è l’automa. Stesso meccanismo nel Fedro di Platone quando, per l’appunto, si condanna la scrittura perché è una forma di anima portata fuori, portata all’esterno e divenuta quindi anima tecnica, automa. Tuttavia, quando si tratta di descrivere il discorso vero, Platone dice che è quello scritto nell’anima, e l’anima, a sua volta, viene paragonata a un libro. È come se si dicesse che l’anima è il bene e l’automa è il male, ma poi si scoprissero due cose. Primo, che l’anima è il bene perché l’automa è il male (l’anima non ha altra positività se non quella che deriva dal confronto con l’automa, proprio come la positività dei leghisti si riduce a non essere meridionali). Secondo, che l’anima è come l’automa, solo che è un automa buono, mentre l’automa è un automa cattivo. Eravamo partiti con l’anima e l’automa, e ci troviamo di fronte a un capitolo della Genealogia della morale. Voglio dire che in queste distinzioni, che sembrano essere puramente funzionali o tecniche, si nascondono una assiologia e una morale. La stessa, se vogliamo, che spinge a privilegiare i cibi biologici e gli atteggiamenti spontanei. Quindi, non solo anima e automa sono una coppia i cui termini non si possono pensare separatamente, ma il termine cattivo, l’automa, è, più che un concetto, un sospetto o un insulto: “automa sono gli altri”.
FERRARIS
Ecco, immaginiamo allora che qualcuno venga e ci dica: “Tu come fai a provare di avere un’anima? Avanti, provalo. Cosa ne sai? Come lo sai? Come puoi pensare di avere un’anima?”. La domanda fa tutt’uno con un’altra, “Come puoi pensare di essere libero?”. Non abbiamo evidenze: per quanto ne sappiamo potremmo essere caricati a molla come una sveglia, automatici come un girarrosto, solo un po’ più complessi. C’è chi risponderebbe: “No, a me sembra di avere dei movimenti spontanei”. Già, ma questi movimenti spontanei magari sono effetto di meccanismi interni oppure – secondo il vecchio argomento per cui le cose più profonde in noi sono semplicemente le cose che ci hanno insegnato alle elementari – frutto di precetti che abbiamo appreso meccanicamente e che – incistati e inveterati – immaginiamo costituiscano la nostra intimità. Come ho detto prima, la coppia anima/automa non è ontologica – esiste da una parte l’anima e dall’altra l’automa – ma piuttosto assiologica: c’è una cosa buona, che è l’anima; e una cosa cattiva, che è l’automa. Per questo l’automatismo viene considerato una giustificazione. “L’ho fatto senza pensarci”: credo che a chiunque sia capitato di giustificarsi così. “Eseguivo gli ordini”: altra tipica giustificazione, che non auguro a nessuno di doversi trovare ad usare. Se riflettiamo su quanta parte della nostra vita si svolge in maniera automatica, ci si rende conto delle continue ripetizioni nella sfera spirituale. Nel Seicento si diceva che un predicatore può parlare per un’ora senza pensare; io posso garantire che anche un professore può farlo. Che differenza c’è fra te e un automa nel momento in cui stai facendo lezione o, magari, registrando questa intervista, che dovrebbe essere la quintessenza della spontaneità ma che, se vale quello che dico (e credo proprio che valga) è attraversata da meccanismi e stereotipi di ogni sorta? Qui dovremmo fare la parte dei pensatori, ma in larghissima misura stiamo recitando dei copioni, libri che abbiamo letto o scritto, lezioni che abbiamo fatto. Attenzione, però! Non dico che questo è un male. È una necessità, proprio in forza di ciò che ho provato a dire più sopra. E se mi dicessi: “Basta con le recite, sii spontaneo” sarebbe una commedia o una tragedia, ma di sicuro non ci sarebbe la spontaneità assoluta, ma solo (ben che vada) qualcosa di apparentemente più spontaneo, in realtà di molto più artefatto. Ammesso e non concesso che riesca. Così, vien quasi da invidiare la bella sincerità degli attori e degli operatori dei call center. Gli attori sono automi felici, perché stanno svolgendo qualcosa di prescritto, in cui possono aggiungere qualcosa di loro, ma senza mai distaccarsi dal testo. Gli operatori dei call center, invece, sono automi infelici, perché non possono nemmeno interpretare, devono ripetere e basta. Tu telefoni, ti danno prima delle istruzioni automatiche: se hai bisogno di questo premi uno, se hai bisogno di quest’altro premi due, premi tre, ecc. Poi, se c’è un caso non contemplato nella lista, interviene l’operatore, che è una figura anonima (nel senso letterale che è senza nome, anche se il nome è la prima cosa che dice – “Sono Sara, in cosa posso esserle utile?”: ma nessuno ci assicura che Sara sia Sara, e poi se non sai il cognome cosa te ne fai del nome?), spesso non sa cosa rispondere ed è costretto a ripetere sempre le stesse cose. Quindi, di fatto, prima parli con un automa, poi, invece, parli con un automa. Colpa della bieca tecnologia? Da una parte, certo, sì, perché senza telefoni non ci sarebbero call center. Ma d’altra parte l’automa è una tentazione perenne e una presenza costante, ad esempio nei riti. Il sacerdote che pronunciando una formula consacra l’ostia da una parte opera la transustanziazione del pane nel corpo di Dio, dall’altra agisce con l’automatismo dell’operatore di un call center.
PAOLOZZI
Riproporre un’identica gestualità, formule consimili, è nella natura stessa del rito.
FERRARIS
Posso benissimo figurarmi un automa, caricato a molla o più sofisticato, che celebra una messa. E sospetto che la consacrazione sarebbe valida (per esempio, la comunione sarebbe valida), purché le parole siano appropriate.
PAOLOZZI
Mai come in questa circostanza, l’abito fa il monaco, dunque.
FERRARIS
Sì, purché le parole profferite siano appropriate (il che significa: quelle prescritte), la consacrazione ha luogo. Dunque il miracolo non avviene malgrado l’automatismo, ma proprio grazie all’automatismo. Così, le più elevate funzioni artistiche, spirituali, istituzionali, possono essere perfettamente rese attraverso l’automatismo. C’è forse qualche differenza tra il direttore d’orchestra, il sacerdote che celebra la messa, oppure Obama che fa il discorso inaugurale al congresso degli Stati Uniti? Il direttore d’orchestra e il sacerdote il testo ce l’hanno già scritto in forma esplicita. E anche a Obama, probabilmente, glielo ha scritto un ghostwriter. Eppure questo dovrebbe essere per tutti e tre il culmine, il concentrarsi, l’apparire dello spirito sulla scena cosmico-storica…
PAOLOZZI
Direi che potremmo chiudere questa prima parte con Pascal, uno che la sapeva lunga; secondo lui, anche la religione anzi, meglio, la fede, l’atto spirituale per eccellenza, in apparenza il meno automatico, si conquista spesso con l’abitudine, cioè proprio con un atto automatico.
FERRARIS
“Pregate, pregate, la fede seguirà”. E ha inventato un calcolatore: c’è del metodo, e del ragionamento, in tutto questo, e c’è una corrispondenza profonda tra l’esortazione alla preghiera come propedeutica alla fede e l’invenzione di una macchina per facilitare il pensiero.
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