da Pulcinella a dondolo
Poemetto

con tre disegni di Lello Esposito
Napoli, Grimaldi & C., 1998

Curre, curre cavalluccio,
tu me pare quase…nu ciuccio.
Corri, corri, chi t’aspetta
non c’è tempo, non c’è fretta,
non c’è trucco e non c’è inganno,
quando ridi non c’è danno.
Corri, corri in Paradiso…
Io nun tengo o pizz’ a riso,
tengo sulo ‘o cuppulone.
Guarda: l’Angelo padrone!
Ti comanda di fermarti:
stai seduto, non alzarti!
Tengo suonno, non ci sento,
se volete vi accontento
ma lasciatemi dormire.
Cosa dici, vuoi morire!
Guarda: l’Angelo ti chiama.
Presto, presto, s’allontana!
Tengo suonno, che volete?
Guarda: lacrime e comete.
Ora il cielo sta piangendo,
si commuove, non volendo;
quelle stelle sono a lutto,
parla adesso, dicci tutto!
Tengo suonno, non ci sento,
aspettate nu mumento…
Corri, corri Pulcinella,
senza briglie, senza sella;
hai lasciato il Paradiso:
e l’Inferno t’ha sorriso.
Mo ched’è sta nuvità?
Stongo a ccà o stongo a llà?
Sento friddo, sto ‘nfucato,
tengo suonno e sto scetato.
Corri, corri, non pensare,
devi solo cavalcare,
sta tranquillo, non voltarti,
qui non possono trovarti.
Ma tu corri, corri ancora…
[…]

Gianfranco Lauretano
“clanDestino”, gennaio 1999

  Pulcinella a dondolo: è il dialogo tra il poeta che indica a Pulcinella la Morte e il rifiuto di quest’ultimo di ascoltare, di svegliarsi addirittura, da un sonno che pian piano sembra sempre più antico e ineluttabile. E probabilmente il richiamo dell’oggi, dell’italiano, è un richiamo a un’idea di cultura, di popolo (idea che forse, in Italia, solo a Napoli ancora permane vagamente nella mentalità comune e diffusa) che davvero sta morendo e di cui Pulcinella è, tradizionalmente, la rappresentazione. È questo un dispositivo tipico della poesia di Sant’Elia, che percorre una strada originale e personale rispetto al panorama attuale e, in genere, novecentesco della nostra letteratura. La sua opera tenta una sintesi di colto e popolare, anzi è un’idea poetica di unità per cui <<popolare>> è <<colto>>.

Vitaniello Bonito
“Atelier”, giugno 1999

  Anche nel Pulcinella a dondolo come in molta produzione di Sant’Elia, è presente un ritmo oscillante. La forma metrica di un instabile ottonario è veicolo e metafora di un andirivieni del pensiero che è corpo metafisico, vertigine controllata di un continuo trapasso di stati e lingue, altezze e bassure, fughe e riposi. La forte allusività si trasforma nell’azzeramento allegorico di un pensiero che è materia e forma allo stesso tempo, cosa e cosa immaginata, immanenza e ulteriorità. È la strategia di chi pone i personaggi e il lettore già dentro l’evento, nei fatti e nel dire: in medias res.

Alida Airaghi
“l’immaginazione”, dicembre 1999

  Godono infatti, i suoi versi di questa peculiarità che li rende atipici e affascinanti: usando termini bassi, di uso comune, e affrontando temi, situazioni e personaggi molto noti (dal cinema al fumetto alla fiaba) riescono tuttavia a creare un’atmosfera rarefatta ed elegante, percepibile nella sua raffinata ambivalenza forse solo da un pubblico ristretto. Lo stridio appena avvertibile, ma concreto, che consegue da questo gioco mimetico di aristocraticismo e tradizione popolare, offre alla produzione poetica di Sant’Elia uno straniamento ironico, e fa assumere alla sua figura di poeta-menestrello-cantore la maschera stupefatta di Buster Keaton, dall’ininterpretabile e insieme espressivissima immobilità.