IL ROSSO E IL NERO
anno 4, numero 9, aprile 1995
poesia e critica, pp. 79-85
Maria Luisa Vezzali
da “Dieci nell’uno”
di sotto all’arco delle fondamenta
la cenere dei morti
è materia incrollabile
universale refrattaria
all’azione del dimenticare
all’incendio dei giorni
ai rumori
sostituendola al cemento
porta città sulla schiena
come chiocciole
sostituendola alla carta basta
per mille enciclopedie
tollera l’iperbole
la parola gonfia per l’ira
la velleità dei sistemi
sostituendola alle mani
le cose non perdono velluto
il cibo ha sempre
lo stesso
sapore
non è meno dolce
di notte
la solitudine
vasi di splendore
il foglio di carta assorbe l’inchiostro
e la casa assorbe il fruscio del foglio
la nave dell’insonnia assorbe
l’ombra sfocata della casa
nave con lo scialle nero d’uccelli
mugolio di rematori senz’ossa
all’ultima periferia del mondo
il mare assoluto assorbe la nave
il mare è assorbito nella lontana
orbita di Mercurio
il cristallo interiore
risultato della fusione
ogni scheggia di terra nello spazio
viene assorbita
dentro al pozzo ruggine e oro
dello sguardo di chi muove la danza
si scuote dai capelli
la segale e la rosa
e non ha sesso
nel cortile eccentrico della pace
e lo splendore s’addormenta
sul grembo vuoto dei vasi.
dopo la vittoria
i crociati di sangue
alla fine del mondo
non si muovono, posano
solo il respiro è folle
li sorregge la spada
gli atomi del nemico
sgranano occhi sumeri
per contenere tutto.
bellezza
sulla terra ci sono vie
che nessuno percorre
ci sono regioni
sfiorate solo dalle ali
onde più alte
della vita
altopiani invisibili
freddi diamante
luci che perforano
gli occhi
volti trasparenti
sorrisi di comete interminabili
spazi senza guerra
nella matrice
dei sognatori che dormono
sotto al ghiaccio dei laghi
il forte seme della fiamma
acqua dei morti benedici
il forte incedere del carro
che ha pentagoni rossi
dipinti sopra i fianchi
e ruote grandi come lune
raggi velocissimi che spremono
palpiti dalle pietre
un frutto più salato della ghiaia
succo dei morti benedici il corso
degli eserciti
dove passiamo
non rimane altro che
fiamma
un punto scintillante
che riversa dal labirinto della storia
tutte le stelle
astri in ostaggio
nel petto delle madri
non seminano altrettanto
fuoco
da aratro così bianco i campi
non sono mai stati rivoltati
marchio
segno di fabbrica incandescente
disabitati, pronti ad esplodere
in bilico sull’innocenza
e vittoriosi sull’amore
come sulla nostra fame
con un sorriso sulle labbra
“non fa poi cosi male”
e il cuore lasciato per strada
tiepido talismano per i cani.
peso d’amore
io sono l’angelo legato
eremita dei giorni
rattrappito dal freddo sui terrazzi
ho fissato le stelle
agghiaccianti delle porte-finestre
delle lampade, dei televisori
ho respirato al buio la cenere
vuota della fatica
ho perso gli occhi
guardandovi dormire
tranquilli finalmente
mentre tutto intorno bruciava
ho ferito le mani togliendovi
spine di ferro dai capelli
colando il mio sangue vi ha dato
un poco di colore sulle guance
al largo da voi
a lungo estraneo
sono l’angelo reso muto
dalla strofe continua
che intreccio
col vostro nome
che fa immortali
voi e le vostre anime
angelo sordo, angelo
senza profumi
pietra-magnete dell’amore
perfetto
i vostri errori
li ho già compiuti tutti
su di me tutti
sono imputati e sciolti.