IL ROSSO E IL NERO
anno 2, numero 6, ottobre 1993
poesia e critica, pp. 66-70

Fabio Scotto
“Sogni”

 

né mai mi parve il ver cosa sì vera. 

Lorenzo de’ Medici, Sonetto fatto per uno sogno

 

Stava lì
come un ricordo di madre
gli occhi abbracciati a un nodo
di lamiere
per quante sere ancora le sirene
e chissà dove il padre
dove l’odore dei fratelli
dove l’acqua pulita
dalle guance rigando il fumo
nemmeno più il ricordo della voce
a inumidire il sale del gioco
coi bicchieri
“Una moneta d’oro, una moneta…”
– rapidi polsi nascondendo
“E d’oro… “
“No… è d’argento…”
– ora che scende nero dal cielo
il sole in una polvere di figli
ora che il mare addensa
scura notte d’acqua
e sui paletti dondolano il capo
e dalle bocche dei cannoni
e nelle fosse dei rifugi
al lento crepitare dei bagliori
ci è quasi buio il sangue
se ancora vaghi tra le pietre
il vento ne raccolga il fiato
se cola ancora il naso
nonostante le lampade a medusa
nei labirinti del sotterraneo
Vederti, coccio rosa
sui gradini infranti
dolcemente abbracciato al tuo cane
dormire

*

Mentre ti accarezzo i capelli
sulla panchina guardandoti
è tutto rallentato
le mani come remi
dentro e fuori dal mare calmo
attorno verdino il prato
e sempre il platino
fin dentro agli occhi semichiusi
Stiamo ora di spalle
uniti dalle schiene
mi sorreggo ad un tepore vertebrale
sono le mie mani sole
un animale docile mansueto
è già la febbre le parole forse
una sull’altra a corrersi
fuori dalla gola urlata
quiete nuovamente
Dice d’un treno per Rovigo –
più rarefatto adesso –
“Non ho dormito tutta notte.”
Ma allora dove abbiamo camminato?
dove il fianco dove il pullover grigio
già una fretta d’urina, la luce
non andare non ancora
se poi una piaga sul cuscino
il giorno da una fessura
contro l’armadio paura
d’uscire
paura di non dormire

*

Eccoti sulla spiaggia
fine autunno
Parli col tuo amico pittore
da qualche tempo fuori dalla mischia
dei libri d’una volta
di brossure quando la mano artigianale rilegava
Marini, Dova, Mondrian…

Il fumo flebilmente dalla pipa
si lascia verso le nubi scure
quasi piove mentre ti guardo di profilo
nel tuo bel cardigan di lana blu
aprirti in un sorriso
inumidirsi gli occhi come sempre
come se ancora esistesse
la gioia infantile del gelato
scivolato a terra per il caldo
nella piazzetta del Costituzionale
“Buongiorno Ragioniere, Geometra
Ingegnere…” – accattivante
la padrona in uno sbattere di ciglia
dileguava “bacio, nocciola, vaniglia…”

(Altra è la femmina, pensavi)
nel rito del toscano
“La femmina è più donna della donna”
– rincorrevi il sogno della voglia che perdevi
intanto andavano scemando
le bellezze come il fiato
tra i lumi della fiera dell’antiquariato
i nostri passi poi
sul vento
come per incanto
alzarci

*

Vieni via
da quelle fredde stanze
a terra strani brandelli di ferro
ferro e tenaglie su piastrelle
nulla attorno però li sento stridere
con nere ali dai lucernari
al collo un tintinnio di croci
Vogliono te, lo sai che vogliono
la tua pelle umida di pioggia
per quel soffio di sangue
che ti traversa la gola
se fanno ondeggiare la lampada
di fronte a te
sempre di fronte

È quello dei tatuaggi
un drago sulla spalla destra
il petto nudo, ben pettinati
i capelli, l’anello d’oro
all’anulare e scarpe nere
un passo dopo l’altro
verso il centro della stanza
cingerti nel nero di quegli occhi
l’odore della pelle da dietro
soffiandoti parole sul collo
ad una ad una stringendo fino a…

Eccoci fuori all’aria finalmente
ti sorreggo esausta nella corsa
mentre ci piove addosso il cielo
un po’ di sangue dalla bocca
per quei vicoli sui ciottoli
mi bastassero le mie sole braccia
a cancellarti il pianto segreto dalle ciglia
dietro la gru del cantiere
vedendoli passare
Figlia del buio nel fango caldo dei tuoi gigli