IL ROSSO E IL NERO
anno 2, numero 5, giugno 1993
poesia e critica, pp. 94-97
commento critico
Edoardo Zuccato
Tornando nel suo stile
Benché solo ventiseienne, Antonello Satta Centanin ha già compiuto un percorso poetico alquanto complesso. La sua carriera si potrebbe dividere in tre fasi: una sorta di ‘apprendistato’, una fase neo-orfica (fino a Musica per streghe), e un periodo recente, ricco di novità, a cui appartengono i testi pubblicati qui. Le caratteristiche che rendono Centanin una voce poetica distinguibile da tutte le altre sono presenti già nelle prime poesie (perciò ho messo ‘apprendistato’ fra virgolette). Si prenda ad esempio il sonetto (inedito) Chronicon III che risale al 1986:
Mio zio litiga sempre con mia zia;
Mia zia litiga sempre con mio zio,
Perocché in fondo esiste Dio,
E tutto torna sulla retta via
Mio zio lavora in Svizzera, a Mendrisio,
Non sa nulla di Kant né di Platone,
Ma non è deficiente né coglione,
E nell’ Olimpo opta per Dionisio
(infatti beve): troppo descrittivo?
– Come poesia, però, non è scadente:
Almeno testimonia che son vivo
E che ragiono, o forse no (la gente
Capisce poco di quello che scrivo
Ma quello che capisce è sufficiente)
Ciò che in questo sonetto, alla luce delle poesie seguenti, appare caratteristico di Centanin è in primo luogo il talento versificatorio (si tratta dell’opera di un diciannovenne); in secondo luogo, l’affrontare temi metafisici o comunque astratti tramite il realismo; in terzo luogo, la scelta di una forma metrica fortemente codificata (in questo caso, il sonetto); e infine il tono, un’ironia dissonante prodotta da una sfasatura fra la serietà degli argomenti e il registro linguistico scanzonato (in altri casi si avrà l’opposto: registro linguistico aulico e argomento ‘basso’).
Queste osservazioni appariranno poco comprensibili a chi ha letto i due libri che Centanin ha pubblicato, Tornando nel tuo sangue e Musica per streghe, i quali sono il frutto della seconda ‘fase’, quella neo-orfica. La scrittura più caratteristica di Centanin quella a cui accennavo sopra, appare solo marginalmente nei due libri pubblicati, in Tornando nel tuo sangue in testi come Tornare (un sonetto) e nell’epigramma conclusivo (“Guardare al finestrino frantumarsi/in mille auguste schegge di colore/Cantello poi Mainate è la catarsi/di un attimo sottratto a ogni dolore…//…mi culla intanto ritmico il motore…”); e in Musica per streghe in “Scendendo salgo in valli” (mutilato dell’originale distico conclusivo, di un’ironia tipicamente centaniniana) e nella sezione “Polittico Milano”. Le ragioni di tale fase ne sono molteplici (e fra esse bisognerà ricordare sia le affinità filosofiche, sia il fascino personale esercitato da Milo De Angelis), ma sono comprensibili alla luce della personalità di Centanin, segnata ad un tempo da un tenace realismo e da un furore metafisico di stampo nicciano. Mi pare che nei suoi momenti migliori la sua poesia riesca a combinare queste due istanze nei modi a cui accennavo all’inizio, mentre in momenti meno felici, o comunque meno personali, l’una tende a cancellare l’altra. La fase neo-orfica rappresenta quindi il momento di massimo vigore dei ‘furori nicciani’ a danno della componente realistica. Non si dovrebbe infine dimenticare, oltre a queste ragioni, la dimensione manieristica della scrittura di Centanin, dimensione creata quasi inevitabilmente dalla sua eccezionale facilità versificatoria.
È proprio da quest’ultimo elemento che si può ripartire per illustrare meglio i testi presentati in questa sede. Come si nota a prima vista, essi riprendono e ampliano i moduli della fase più giovanile, che ho esemplificato sopra tramite Chronicon III. Nelle “Grandi feste cristiane” (titolo di sezione di una raccolta di prossima pubblicazione) riappare infatti la combinazione fra virtuosismo formale, realismo, e interessi metafisici. Per esemplificare il virtuosismo formale non c’è che l’imbarazzo della scelta: si noti in 3 febbraio – S. Genoveffa, Patrona di Parigi la rima Geneviève -rev. (abbreviazione di reverendo, vv. 2,5), e in generale la fluidità del discorso benché calato in strofe metricamente complicate. Almeno un accenno meritano i sonetti, poiché tale forma viene usata dal Centanin in modo del tutto convincente e non per mero esercizio manieristico come spesso avviene. Direi che dopo i “Sonetti dell’anniversario” di Caproni non si erano più letti dei sonetti vitali come Comm. dei defunti.
Il secondo gruppo di testi qui presentati tratta un argomento alquanto diverso dal precedente, ovvero il rapporto fra una fase della sessualità adolescenziale e la pornografia. È un tema difficile da discutere senza cadere, secondo i vari punti di vista, o in invettive censorie o nel piacere voyeuristico. La soluzione adottata da Centanin è ingegnosa, ovvero calare la materia in ottave, riecheggianti a Giambattista Marino più che ad Ariosto. L’incontro tra materia ‘bassa’ e stile aulico, con tanto di apocopi, elisioni e similitudini epiche, genera un falsetto e un’ironia continua che permettono di passare indenni attraverso un terreno minato (tali terreni sono congeniali a Centanin, che sta attualmente lavorando a una raccolta dal titolo Cronaca vera i cui spunti provengono dall’irreale periodico omonimo).
I temi qui accostati (santi e pornostar) sono discordanti, secondo un procedimento ricorrente in Centanin (il quale, oltre a Nietzsche, è affezionato a Hegel, che secondo Wittgenstein è andato ripetendo una sola cosa nella sua filosofia: tutto è uguale). La raccolta a cui appartengono tali temi è completata da una terza sezione dedicata alle merci. Il triplice abbinamento potrebbe suggerire, credo, modi diversi ma accostabili in cui il potere si promuove, si ‘vende’, facendo leva sulle ansie e i bisogni elementari. Discorso a suo modo coerente, anche se, a rigore, potrebbe venire esteso ad altri settori, fra cui la poesia, la quale non si diffonde per virtù naturale, ma va attivamente promossa (o ‘venduta’), come chi opera nel ramo sa bene.
Ricapitolando, direi che l’originalità della poesia di Centanin sta nella combinazione personalissima di tensione metafisica e realismo dimesso, calati in forme della tradizione illustre. Malgrado le apparenze, non si tratta di una miscela troppo insolita; essa appare per esempio in William Butler Yeats, o, in Italia, in Giovanni Giudici, citato nell’epigrafe di Tornando nel tuo sangue. Indicherei Giudici, soprattutto quello di Salutz, per la sua combinazione di realismo, scioltezza versificatoria e intensità di pensiero come modello ‘ideale’ di Centanin (tenendo inoltre sott’occhio la rilettura della tradizione operata da Pascoli e Carducci). Ma le premesse, le componenti della poetica, hanno un valore relativo; importa invece vedere come esse vengono realizzate concretamente nei testi. Non si può dire che Centanin riesca sempre ad armonizzare le componenti più volte citate. La sua poesia, per quanto è dato leggere sin’ora, presenta alti e bassi, il che oltre ai risultati già raggiunti ( per esempio certi sonetti, o Negro), pone a mio parere delle basi per il futuro più solide di quelle di altri esordienti a me noti, che insieme ai ‘bassi’ mancano anche degli ‘alti’.