IL ROSSO E IL NERO
anno 2, numero 5, giugno 1993
poesia e critica, pp. 73-77
Pasquale Di Palmo
“Fiori del dormiveglia”
Visitando l’abbazia di Sant’Antimo
L’abbazia era davvero immensa.
Fuori, lungo la campagna
fiorita, solo polvere e vento.
Nel silenzio ascoltavo un canto
salire lentamente verso l’abside,
ma non c’era nessuno
oltre noi e il custode
e nessuna melodia solcava
quel grande cielo d’onice.
Il sole illuminava da una bifora
una lapide corrosa del 1117.
Uscendo, il vento garriva
contro le nostre sigarette.
Pasqua a Brunico
Dormirai sotto il castello
con una donna che ha pelle di pesca
e il sonno più duro del tuo.
Al mattino la luce
ti penetra gli occhi con il bagliore
di quelle forme di neve.
Salirete insieme lungo mura
rannuvolate, nel vento che taglia
ancora labbra e mani.
E vi sarà tuo fratello
che s’inerpica più leggero
tra le foglie scarlatte del cimitero.
Anche il sole è in esilio
fra questi tetti di paglia.
Ora che il biondo sonno mi accarezza
con mani leggere di ladro
l’erba ha la delicatezza
di un’onda sul petto d’avorio.
La tua voce è sottile come un ago, un capello.
Dondola da un castello
di foglie questa felicità
di scendere per mano Via Negrelli
nel sole bianco della siccità.
Trema nella gola del vento
il sole ricciuto di mezzogiorno.
Tu siedi fra lunghi aghi
d’erba, piccola sposa,
mentre coi dentini di giada
ti morde la verbena
le gambe biancazzurre.
Vecchio atlante, spalanca
immensi pelaghi d’oro
questo verde cielo sonoro.
Nel tuo pugno protesta la cicala
stordita dalla luce.
Io sfoglio i miei giorni
come le pagine di un erbario.
Su essi incombe, nel giro
assonnato delle tue palpebre,
questa calma luce
di grano e di falce.
Mi nasce nel sangue
una furia di foglie malate.
Nei tuoi capelli d’erba
nidifica allora la rondine,
il gufo ti ruba gli occhi.
Quartine scritte fra Aquileia e Grado
Non avrò sepoltura
in questo giardino
dove la verzura
ondeggia al mio cammino.
Le tasche piene di noci,
me ne vado nel vento
che scende sulle croci
inclinate, violento.
Mi insegnerete un gorgheggio,
chiari uccelli dell’isola
dal beccuccio ad asola,
quando estate biondeggia.
Impietriti dal sonno camminiamo
nel vento d’oro, sotto la verde
viola di Deneb che s’indovina fra i tetti
screziati fino a sera
da un filo tenue di sole.
Muore in un cupo chiostro
l’eco dei nostri passi.
Le statue tendono nel vuoto
sottili moncherini di cristallo.
In questo cielo d’esilio
la piazza lontana nuvola.
Vengo sul tuo tetto
con ali di civetta
a gridarti il mio malumore.
Formano una margherita
le tue piccole dita
aggrappate a una coperta di piume.
Da quassù vedo il fiume
che sfiora la tua casa
con un gomito rosa.
Poi mi addormento vicino a una cimasa
avvolto nello scialle del vento.
Il sole picchia sul verde letame
la tua manina di rame.
Le rondini s’involano nel cielo
rugoso come una fronte,
la luce scrolla dal forte
una cascata di foglie.
Anch’io mi sento più forte
adesso che è primavera.
Ma l’acqua che ci bagna è ancora nera
nella campagna ricciuta
e scomparso è l’assiolo che cantava
felice dietro la ciminiera.
Girare di domenica le strade
popolate di statue brune
sotto la polvere del cielo.
O nascondermi nel velo
biondo di sole che dispone
i nostri passi leggeri sul baratro.
Ma saperti qui, come un’ombra
che segni il mio profilo
nella città piegata
sui suoi stessi pinnacoli.
Escursione a Fonda Savio
Come un grido nel sole è questo grigio
intrico di leggere ragnatele
di rami lungo il sentiero sottile
che si snoda fra gole verdi e bige.
Manieri chiari con volto severo
di mirto incombono sull’ombra breve
dell’ombra, presto la luna d’opale
come una rosa bruna scalerà
un cielo che ha colore di vendemmia.
Nelle tue bianche braccia mi abbandono,
vento che scendi da alpi azzurrine
con lo scroscio di foglie dentellate
nel dolore bruciante della prima
sera, nel biondo velluto d’un sonno
legato ancora al sussurro dei larici.