IL ROSSO E IL NERO
anno 2, numero 4, febbraio 1993
poesia e critica, pp. 66-67

nota di poetica

L’eco di un pensiero

    Ho molti dubbi sulla necessità delle confessioni di poetica, delle dichiarazioni d’intenti c delle petizioni di principio. Come lettore ne sono spesso francamente annoiato; talvolta, nei casi migliori o peggiori, esilarato. Come ipotetico autore, posso accettare senza patemi d’animo di spiegare com’è nata una singola poesia, a cosa si riferisce quell’immagine, o quale lettura si cela dietro la tale parola: non nutro, nei confronti della presunta aura poetica, nessun timore reverenziale, e credo anzi che, quando un testo esiste e funziona, possa e debba resistere alla più pedantesca glossatura. Ma se mi si chiede: “Su, spiegaci cos’è per te la poesia; e perché scrivi; e quale progetto persegui”; allora mi comporto come quando, all’uscita dal cinema, un amico importuno cerca di costringermi a discutere del film che magari mi ha appassionato: dico di non aver capito niente o di essermi addormentato persino.
    Mi interessa una poesia che si sforzi ancora di lavorare sui dati della realtà (in senso anche e soprattutto linguistico), e che riesca nel contempo a non essere soltanto “realistica”; che si arrischi a percorrere i sentieri più grigi e quotidiani dell’esperienza individuale, rifuggendo dall’intimismo nostalgico e rassegnato, e che aspiri, con tutta l’ingenuità e l’incoscienza del caso, a farsi voce comune; che, infine, pur sapendo di non avere quasi nessuna possibilità di riuscita, non rinunci alla dimensione del pensiero, ma se ne faccia eco: Nastagio degli Onesti, vagando per la pineta di Ravenna, entrò in un pensiero (c’informa il Boccaccio). O con un’altra immagine letteraria: nel Viaggio al centro della terra il protagonista si smarrisce in un cunicolo sotterraneo, completamente buio; sola presenza nelle tenebre, insieme terrore e speranza per chi si è smarrito, l’eco dei passi e dei colpi che risuonano nelle altre gallerie, dove altri dispersi cercano di resistere allo sconforto; messaggio involontario e insensato, a cui ci si abbarbica per non soccombere, improbabile punto di riferimento per continuare a camminare, senza nessuna certezza.

I testi che precedono sono stati scritti tra il 1989 e il 1992. Per la lettura, sarà forse utile sapere che Crespi d’ Adda è il nome del villaggio operaio fondato nel 1878 dall’imprenditore Cristoforo Benigno Crespi per ospitare le maestranze del suo stabilimento tessile (cfr. S. Merli, Proletariato di fabbrica e capitalismo industriale, La Nuova Italia, Firenze, 1972, cap. IV); Anna Brichtova, una delle piccole recluse nel campo di concentramento di Terezin, è l’autrice di un mosaico infantile esposto all’ingresso del vecchio cimitero ebraico di Praga; la figura infantile che appare qua e là nelle poesie (e a cui appartengono le creazioni linguistiche cratassi, tirabraccia, il drago soffia-naso) è quella di mia figlia, Nina.

 

Fabio Pusterla