IL ROSSO E IL NERO
anno 1, numero 3, ottobre 1992
racconti brevi, pp. 12-15

Carola Susani

Sono restata con Marco

   Sono restata con Marco, alla fine, perché ci conosciamo da dieci anni. Non mi faceva paura. Eravamo venuti giù insieme e c’eravamo mossi sempre in due, fin dal concorso per entrare in Cattolica. Lui, dall’inizio, aveva le idee più chiare, doveva fare lo psichiatra, e io gli credevo. Non che io non sapessi quello che volevo, ma c’erano così tanti ostacoli che non me lo dicevo se non a notte fonda nel mio lettino di studentessa, volevo fare ginecologia, come il nonno. Ma non lo dicevo neanche a Marco.
   La città era strana, ci faceva paura a tutt’e due, però Marco non lo mostrava, usciva sempre, ed io, qualche volta, andavo con lui. Lui si sapeva adeguare e riusciva sempre bene accetto. Per far colpo cambiava una macchina a settimana, macchine molto lucide e grandi, ma io sono inesperta e non ne ricordo il nome. Comunque, ogni sera doveva accompagnare almeno quattro persone, e tutti gli chiedevano di schiacciare il pulsante dei finestrini e schioccavano la lingua per lo stupore quando faceva sollevare da terra l’automobile prima di partire. Poi erano tutti molto soddisfatti e dicevano che si volava. Marco sorrideva e sudava. Mettevano qualche musica molto rumorosa. Credo che per Marco quelli fossero i momenti migliori delle nostre uscite notturne.
   Io invece non cambiavo mai, ero sempre uguale dovunque si andasse, guardavo. Tutte le volte, a tutte le feste, in tutte le case c’era qualcuno che mi veniva a parlare. Come dice Marco, è perché ho i capelli biondi e molto lunghi che attirano l’attenzione. Non si può certo dire che io sia provocante, non porto mai una scollatura ed è naturale ché non avrei cosa mostrare visto che non ho seno, e non è che l’abbia piccolo, è che proprio non ce l’ho e la cosa mi fa piacere. Forse dovrei tagliarmi i capelli, ma Marco dice che è una gran fortuna essere carina, i ragazzi vengono da te e vogliono farti piacere, puoi chiedergli di fare tutto, ti offrono da bere, ti scarrozzano in macchina, ti fanno regali e in fondo non vogliono molto, qualche bacetto o al massimo distendertisi addosso. Io, in realtà mi stufo molto prima, ci parlo un po’, mi faccio offrire da bere, poi chiedo scusa e scappo.
   Insomma, io e Marco si camminava mettendo il piede sull’orma dell’altro e certe volte anche sulla scarpa. Quand’era giù, Marco diceva che di lui non gliene importava a nessuno, che quelli che invitavano lo facevano solo per me. “E poi – faceva – credi che ti ascoltino?! Ti vogliono solo perché hai i capelli lunghi e biondi”. Lui diceva cosi di tutti, anche di quelli che mi piacevano, ed io ci restavo male, ma sapevo che per lo più era vero. Marco lo giustificavo, ché quando parlava cosi era molto avvilito.
   I mici capelli lunghi e biondi hanno una storia anche loro. Quando io ero una bambina e facevo le elementari, non ero diversa da come sono ora, ero piatta, avevo il bacino ristrettissimo, strette le spalle, però, in proporzione avevo le ossa larghe, e sopra le ossa soltanto la pelle, esattamente come adesso. Di diverso, avevo i capelli a caschetto come li fanno alle bambine, che corrono lungo la nuca, lungo le orecchie, e poi cominciano a salire. Non me ne importava niente dei capelli, degli occhi, della bocca e neanche dei polpastrelli, fino a quando non arrivò una bambina. Si chiamava Marina ed era bella. Oppure al contrario: tutto quello che è bello lo è perché le somiglia. Da allora non faccio che confronti per riconoscere le cose. Io non ero bella.
   Lei aveva i capelli lunghi e neri che arrivavano sulle orecchie. Aveva gli occhi azzurri, e non mi piaceva averli scuri. Volevo essere come lei.
   Cominciai ad odiare i miei vestiti, volevo i calzoncini come Marina, non volevo più i pizzi, ma le magliette di cotone fino. Io non so se Marina se ne sia accorta, certe volte rideva nascondendo la bocca con la mano.
   Mi diedi un anno di tempo per farmi crescere i capelli fino alle spalle; appena fossero cresciuti li avrei fatti neri. Ci misero molto più di un anno, ma io ero paziente e testarda.
   Un pomeriggio decisi che era ora.
   Pensavo che l’indomani mattina vedendomi con i capelli neri Marina non mi avrebbe ignorato, forse mi avrebbe rivolto la parola, o addirittura mi avrebbe invitato. La signora della profumeria volle sapere per chi era la tintura, allora ero piuttosto onesta, risposi che era per me come era vero. Non me la diede. Cosi i capelli restarono lunghi senza diventare neri. La mia prima delusione d’amore è stata per colpa di quella profumiera. Cambiai scuola. Da allora è sempre colpa dei capelli biondi.
   Non posso tagliarli perché non si sa mai, se rincontrassi quella ragazza vorrei che mi trovasse pronta. Ma aspetto lei, perché con gli altri preferisco essere bionda.
   Se sto con Marco, alla fine, è perché lui lo ha sempre ripetuto che odia le bionde, che le ragazze gli piacciono more e sensuali esattamente come io non sono. Sono rimasta con Marco perché mi fido di lui, non gli piaccio, di sicuro non mi ama, quindi io e lui possiamo anche parlare insieme.
   Quando mi ha chiesto se stavamo insieme, qualche giorno fa io ci ho riflettuto, poi gli ho detto di sì perché non sarebbe cambiato niente e avremmo risolto alcuni problemi.
   I problemi sono cominciati l’altr’anno quando abbiamo avuto l’incidente e io sono entrata in coma. All’inizio ero silenziosa poi, negli ultimi giorni prima di svegliarmi ho cominciato a chiamare Alba. Alba era la ragazza con cui stavo insieme allora, era molto sottile, con i capelli neri neri. Andavo spesso a Bologna a trovarla e mi ospitava per qualche giorno. Non facevamo che passeggiare. Mi sentivo in un pezzetto di mondo isolato, un pezzetto di mondo fuori dal mondo.
   Non è vero che andavamo a letto, cioè, dormivamo abbracciate nello stesso letto, ma non facevamo l’amore. Quando glielo spiegavo, i più non mi credevano, gli altri dicevano che ho una sessualità da educandato, il che poi è vero. Sarei contenta se al posto del mondo ci fosse un grande collegio o un convento di suore. Beh, potrei stare in pace.
   Quando mi svegliò dal coma, mia madre non ebbe cuore di dirmi niente, ero sempre sotto l’effetto dei barbiturici. Se avessi saputo che mia madre era amareggiata, penso che sarei stata più discreta.
   Da quando stavo con Alba avevo deciso, anche se mi dispiaceva, di rinunciare a ginecologia e quindi alla eredità di mio nonno, l’uomo che stava dentro le mamme. Sarebbe stato pericoloso per la professione. Gli scandali si sprecano. Immaginatevi quale paziente verrebbe a curarsi, sapendo che sto con una ragazza. Io so che non ha senso, nonno era addirittura un uomo, e curava le donne… tantè, io avrei ripiegato su neurologia.
   Quando finalmente smisi di prendere i barbiturici, mia madre si prese di coraggio, mi entrò in camera e mi chiese, così, senza preliminari: – Come fai con una donna?! ha il corpo come il tuo, non ti fa ribrezzo? – Io ero in dormiveglia – No mamma – ho fatto – perché?!
   Lei si è messa a piangere, cosi io ho lasciato Alba. Quando Marco mi ha chiesto di stare insieme, ho trovato che avremmo fatto bene: mia madre si sarebbe chetata e avrei potuto ricominciare a pensare di fare il ginecologo.
   Io e Marco ci conosciamo bene. Una volta mi ha detto: – Proviamoci, poi se ti dà fastidio smetto. Credo che gli sia venuta voglia a vedere gli altri che erano molto entusiasti di me, forse voleva vedere cosa ci trovavano, più probabilmente voleva fargli venire invidia, e ingelosire la ragazza che frequentava. Io gli ho detto “d’accordo”, mi sono spogliata e mi sono stesa sul mio letto di studentessa. La mia coinquilina non c’era e non sarebbe rientrata. Lui si è spogliato, si è disteso sopra di me. È glabro Marco, completamente senza peli. È entrato molto piano ha strappato qualcosa, ma appena appena e non ho sentito più di tanto dolore. Poi ha cominciato a muoversi. Io temevo che si trasformasse, che ansimasse, magari. Invece ha solo chiuso gli occhi, a un certo punto, e ha stretto le labbra. Per così poco si può anche fare – ho pensato.
   Che io e Marco stiamo insieme non se n’è accorto nessuno perché non è cambiato niente. Soltanto, adesso gli dà fastidio che quando siamo in mezzo alla gente io gli prenda la mano; questo cerco di non farmelo pesare.