IL ROSSO E IL NERO
anno 1, numero 2, giugno 1992
poesia e critica, pp. 81-85
Giuliano Donati
La collinetta
Fuori dal paese inizia la nebbia
guanto preciso del verde
al largo una mattina nell’ago
a pungere a prua dal suo fondo
il trapasso in foglia come onda.
*
Dai boschi commossi alla lingua
i profughi aerei dei rami
e il resto precipita a ferro
sul moto dirotto dei viali
trattori e lavoro di sabato
che rendono acqua alle foglie
e il volo di un bossolo azzurro.
*
Le tasche che servivano
alle mani e piene di capelli
di sassi e di risa
camini alle tue spalle
all’erba sei tu che dici qualcosa.
*
Temo per il freddo, per il
cuscino, per le mani nel sacco,
la voglia di colpire alla testa
di entrare subito lento
nel prato ondulato che dorme
dopocena con il colletto rigido
e il bacio della buonanotte
anche se non ho tolto le calze
ancora lassù in cucina prima
di venire a letto col buio.
*
Il sonno viene come il fuoco sulla paglia.
Vorrei essere vivo come un cardo
non essere solo per il filo di dolore
che mi tende come un arco.
Sento l’acqua nella vasca
piena della mia fontana
nel suo spegnersi
che mi risveglia
e mi fa dire sono morto.
Penso se il mio cuore non battesse più
uscire sul balcone sbriciolando
un pezzo di torta fra le mani.
*
Ora il vento suona come un’arpa
l’albero piantato
l’ultimo anno in cui abitammo
questa collinetta dove l’erba
cresce senza requie tutti gli anni
e nessuno la taglia, nessuno le dà
respiro, è un groviglio continuo
e ogni anno ricresce tra le sterpaglie
dell’anno precedente. Noi scavammo
accucciati come ranocchi, con i
ginocchi molli nella terra, sotto
la pioggia battente facevamo
spazio con le mani alla nuova
radice che calando dall’alto
dal più alto di noi impugnata
come un’animale per i capelli
noi non sapevamo se prendeva
o se quella era una tomba
fatta da noi che ci spezzavamo
le unghie nella terra.
*
Ora il vento suona come un’arpa
l’albero piantato
l’ultimo anno in cui abitammo
questa collinetta dove l’erba
cresce senza requie tutti gli anni
e nessuno la taglia, nessuno le dà
respiro, è un groviglio continuo
e ogni anno ricresce tra le sterpaglie
dell’anno precedente. Noi scavammo
accucciati come ranocchi, con i
ginocchi molli nella terra, sotto
la pioggia battente facevamo
spazio con le mani alla nuova
radice che calando dall’alto
dal più alto di noi impugnata
come un’animale per i capelli
noi non sapevamo se prendeva
o se quella era una tomba
fatta da noi che ci spezzavamo
le unghie nella terra.
*
Sono iniziate le vacanze e niente più
mi trattiene dall’essere fra i papaveri
bruciato come un batuffolo di cotone
nella cenere spenta dei falò
spenti la sera tardi con i secchi
d’acqua e circondati da una fila
di mattoni su cui inciampano ancora
le donne in pantofole prima di
andare a dormire richiamando
i bambini e lasciando gli uomini
a sistemare tutto e fumare parlando
ancora una sigaretta.
Arriveranno in camera con
i capelli che sanno di fieno bruciato
la schiena bollente, voltati
dall’altra parte, con le canottiere
bianche che si alzano tra le
lenzuola come palazzi.
Fruit of the Loom
Fino all’ora più alta, immobili
anche i raggi delle biciclette
che giravano al sole nelle ore più calde
appoggiati al muro mentre noi guardiamo
l’ombra assottigliarsi che ci arrivava
fino alle caviglie facendoci scappare
come ragni nel muro, come lucertole
di fosso, allora andavamo contro
a tutto con le scarpe da ginnastica
sul manubrio della bicicletta
al vento caldo che ci scuoteva
le maniche corte delle
‘fruit of the loom’.
Il Nonno
Il nonno quando mi scrive una lettera?
da tanti anni che non lo vedo. Perché
perde tanto tempo nel bagno
col pennello da barba nella schiuma
perché quelle salviette bianche
non lo portano finalmente con me
all’uscita, ora che sono pronto,
perché si toglie il bianco dal viso
pezzo per pezzo così lentamente,
passando e ripassando il rasoio
sulla coramella, ogni volta
fissando gli occhi
dilatati nello specchio tra
il bianco della schiuma che
gli cancella il volto. Perché
tutta quella lunga anticamera
prima di uscire, di pantofole,
di chiami e richiami con la nonna
davanti all’armadio prima di vestirsi.
*
Ora l’albero è più grande di noi
che pure cresciamo
e riusciamo a ricordare
i primi tempi della collinetta
venuta fuori dai buchi delle case,
di tutte le case del quartiere,
che prima non c’erano e nessuno
ci credeva finché non ci è cresciuto
dentro, e il paese è diventato
anche qui un solo paese non più
un pezzo staccato.
Ora anche noi siamo di qui
e torniamo al pioppo
salendo in cima alla collinetta
a portare i gatti quando
ci muoiono di vecchiaia, gli stessi
di allora, mentre i loro figli
ci guardano dalla strada
e noi scaviamo una buca comoda
e quadrata e quando la ricopriamo
non si vede più niente, non
si immagina quale corpo è entrato
li con un tonfo mentre sembrava
che dormisse con il pelo
lucido che si sporcava di terra.
Dalla strada anche noi guardiamo
la collinetta con il verde
che la ricopre del prato che
non è nostro, ogni giorno mentre
andiamo e veniamo senza salirci
vediamo il prato curato e ora
che ci sono salito so che il fango
di cui era fatta non si vede più
e non si immagina come era
e solo quando ho scavato
me ne sono accorto.