IL ROSSO E IL NERO
anno 1, numero 2, ottobre 1992
racconti brevi, pp. 12-15

Michele Serio

Il tendone

   Gianni aveva trent’anni. Lavorava come tecnico in una ditta che costruiva fuoribordo. Ma quel lavoro non lo aveva mai coinvolto, né emotivamente, né professionalmente.
   Altrettanto spenta era la sua vita privata. Si era lasciato alle spalle un divorzio. Anche il dibattito culturale e politico dei suoi tempi non lo interessava minimamente. Gli pareva fasullo, senza nessun riferimento alla realtà quotidiana.
   Dunque Gianni, per trovare risposta alle sue inquietudini, si rivolse all’astrologia. Quella ricerca d’ordine nell’ambito dello straordinario, lo affascinava. Gli pareva più eccitante del dibattito scientifico o politico in atto. Alcuni oroscopi, inoltre, gli avevano descritto il suo destino nei minimi particolari, con anni di anticipo. In particolare quelli della maga Farus, che curava una rubrica di astrologia sul giornale locale.
   Così Gianni si tuffò a pesce sull’unica eccitazione che la vita gli offriva. Scrisse alla maga Farus per un appuntamento. Sapeva che la maga lavorava sotto un tendone di Luna Park. Lei, un’astrologa di fama, aveva provocatoriamente scelto il profilo basso per la sua immagine pubblica. Per Farus l’astrologia era scienza povera, semplice. I lussi smodati dei suoi colleghi la scandalizzavano.
   Ma, naturalmente, Gianni voleva da Farus più di un semplice oroscopo. Da quel colloquio aspettava cambiamenti decisivi per la sua vita. Attese con trepidazione la risposta della maga.
   Durante i giorni d’attesa, per la verità, ebbe spesso la sensazione di essere seguito. Ma forse l’eccitazione gli stava giocando brutti scherzi. Finché arrivò la telefonata fatidica. La maga lo aspettava il giorno dopo, sotto il tendone, alle ventuno in punto.
   Gianni si recò all’appuntamento in perfetto orario. Era una notte di luna piena. La maga lo scrutò a lungo dall’altra parte del tavolino rotondo. Era una donna di sessant’anni. Magra, ancora piacente. I suoi occhi erano scuri, profondi, affascinanti. Aveva innanzi a sé una sfera di cristallo.
   Gianni si sedette sulla sedia destinata ai clienti. Si aspettava convenevoli, un po’ di conversazione. Invece dalla sfera di cristallo, partì, a razzo, il responso. Gianni vide se stesso, in quella sfera, come in un film. Si trovava davanti al tendone. C’era la luna piena come quella sera. La voce della maga diceva: “Tu morirai, appena esci di qui!”, Gianni vide la sua immagine, dentro la sfera crollare per terra, tenendosi il petto. Chiaramente: un infarto! Poi l’immagine sparì.
   Gianni, allora, si rivolse alla maga, disperato: “Cosa devo fare per non morire?”. Non poteva abbandonare l’esistenza così presto. Aveva appena cominciato a vivere!
   “Non uscire di qui” rispose la maga seccamente “e vivrai!”.
   “Ma non è possibile” si agitò Gianni.
   “Allora vattene!” rispose la maga, indifferente.
   Ma Gianni già sentiva fitte al cuore. Era sicuro che, se fosse uscito fuori dal tendone, sarebbe morto all’istante. Di infarto.
   Decise di prendere tempo.
   “Posso restare qui, per un po’?”
   “Tutto il tempo che vuoi. La maga Farus non scaccia chi ha bisogno di aiuto!”.
   Così Gianni restò quella notte.
   E tante notti dopo.
   La maga, conoscendo le sue paure, gli trovò un lavoro all’interno della sua organizzazione. Naturalmente era un lavoro da espletare tra fax, telefono e computers. Dunque consentiva a Gianni di non uscire dal tendone.
   Presto fu aggiunta una dépendance al tendone principale. Era destinata al nuovo collaboratore di Farus. Gianni divenne un manager occupatissimo. Gli affari di Farus, grazie al suo aiuto, prosperarono.
   In quel periodo, il giovane risolse brillantemente anche il problema sesso. Dalla mattina alla sera egli frequentava una sola donna: la maga. Facile che, nonostante l’età, la donna finisse per attrarlo. La loro unione sessuale avvenne in una notte di luna piena. Per Gianni fu un’esperienza indimenticabile. Farus suppliva alle carenze fisiche con abilità erotiche antiche, straordinarie.
   Naturalmente Gianni sapeva che, fuori dal tendone, palpitava la vera vita. Ma il giovane, ormai, aveva rimosso la ragione della sua segregazione. Era causata dalla paura del vaticinio? O dalla diffidenza verso il mondo esterno, che lo aveva deluso?
   Ma la routine, spesso, incide sul destino più delle scelte consapevoli. Quella situazione straordinaria, trasportata nella quotidianità, divenne normale. Gianni passò trent’anni, sotto quel tendone. Senza essere né felice né infelice. Secondo gli standards, tipici, della rassegnazione.
   Poi un giorno la maga Farus, ormai vecchissima, si ammalò. In breve tempo le sue condizioni si aggravarono. Sentendosi in punto di morte, la maga chiamò Gianni, ormai sessantenne, al suo capezzale. “Vedi Gianni” disse, stringendogli forte la mano “io ti ho ingannato. Trent’anni fa mi arrivò la tua lettera. Il tuo stile, la tua sensibilità mi conquistarono, immediatamente. Individuai dove abitavi. Ti pedinai. Mi piacevi. Decisi che dovevo possederti anima e corpo. Ma avevo già sessant’anni. Come fare? Escogitai un piano.
   Già allora, negli anni novanta, grazie all’elettronica, erano possibili montaggi, fino a poco tempo prima, impensabili. Un attore, con la tua stessa corporatura, fu ripreso mentre fingeva di morire di infarto, fuori dal tendone, in una notte di luna piena. Sul corpo dell’attore filmato, montammo, io e un tecnico, il fotogramma della tua testa. Poi il materiale filmico venne proiettato all’interno della sfera di cristallo, grazie a un proiettore nascosto. Il trucco era semplice, quasi puerile. Ma riuscì alla perfezione.
   Per la verità io pensavo che avresti resistito solo pochi mesi, recluso qua dentro. Per giunta, in compagnia di una vecchia. Invece tu, incredibilmente, mi sei stato vicino per tutta la vita. Di questo ti ringrazio…
   Ma non potevo partire per il Grande Viaggio con questo peso sulla coscienza. Adesso conosci il mio inganno. Perciò vai. Esci fuori dal tendone. Ti ho lasciato tutto quello che posseggo. Dopo la mia morte, diventerai ricco. Goditi la vita…”
   In quel momento Gianni vide Farus, per la prima volta, per quello che era: una vecchia novantenne, sdentata, piena di rughe: un vero e proprio sepolcro imbiancato. E lui s’era fatto ingannare da quel mostro! Inorridito, abbandonò la mano raggrinzita della donna morente.
   Immediatamente corse fuori dal tendone. L’aria fresca della notte alitò sul suo viso. La pelle, cerea per gli anni di segregazione, rabbrividì di piacere. In cielo c’era la luna piena. Come il giorno che era entrato nel tendone. Come il giorno che aveva posseduto Farus per la prima volta.
   Ma, purtroppo, decenni fuori dal mondo avevano ovattato le sue percezioni. La sua reattività aveva raggiunto livelli zero. L’età, ragguardevole, si fece sentire. Il suo cuore non poteva reggere a emozioni così intense.
   Crollò per terra, le mani strette al petto. Aveva già visto quella scena. In una sfera di cristallo. Trent’anni prima. Nello stesso istante Farus, nel tendone, poco lontano, sorrideva. “Povero Gianni” pensava “ancora una volta hai creduto alle mie menzogne! È vero, avevo costruito artificialmente la scena della tua morte. Ma solo perché volevo anticipare i tempi, per i miei scopi. Lasciare questa vita con un delitto sulla coscienza per me non era un problema. Ma per la maga Farus è intollerabile che una sua previsione non si avveri”.
   Gianni morì di infarto. Nel punto preciso, indicato dal montaggio truccato. Nel momento supremo, una smorfia di rabbia e disgusto devastava il suo viso.
   Un secondo dopo, Farus chiuse gli occhi per sempre. Serena, appagata, come chi ha realizzato pienamente se stessa.
   La luna piena, in cielo, immobile, indifferente, illuminava entrambi. Allo stesso modo.