IL ROSSO E IL NERO
anno 1, numero 2, giugno 1992
poesia e critica, pp. 76-77

nota di poetica

Della poesia non dire…

   Che cos’è per lei la poesia?
    La domanda, piuttosto inattesa in quel momento, mi fu rivolta alcuni anni fa, per la prima volta, dal presidente della giuria di un premio letterario la cui cerimonia di premiazione si svolgeva nel teatro comunale di una piccola e, quel giorno, piovosissima cittadina piemontese.
    Ricordo che rigirai fra le mani per qualche istante l’assegno e la rituale targa ricordo (assegnatimi per la sezione “opera prima”) prima di trovare la risposta. Mi ero preparato a leggere qualche verso, al massimo a ringraziare per la preferenza accordatami…
   Credo che la poesia, per me, rappresenti un vizio. Né più né meno di un qualsiasi altro vizio‒ risposi augurandomi nel contempo di non aver cosi urtato la suscettibilità del mio interlocutore che, nel presentare la cerimonia si era procurato di decantare con i più forbiti aggettivi le gioie e le soddisfazioni della poesia. Non fu cosi. Il presidente della giuria, un noto critico letterario, mi riprese, quasi con aria di compatimento, dicendomi:
   Non credo, giovane amico, che lei lo pensi veramente. Via, non le suggerisce nulla di più positivo il fatto di essere qui, premiato per il suo primo libro di versi? Non la gratifica di quanto, in poesia appunto, ha scritto?
   La premiazione per un lavoro svolto è sempre gratificante, certo convenni. Poi rendendomi conto che a quel punto dovevo pur giustificare la mia asserzione precedente, continuai:
   Tuttavia si tratta pur sempre di un avvenimento fugace, ben delimitato nel tempo. La scrittura, invece, la poesia nel nostro caso, è un fatto continuativo, un’ossessione quasi. che è costantemente presente in chi la conosce. Un vero e proprio vizio insomma, come il gioco, l’alcool o le donne. E non è nemmeno tanto più salutare di questi se, come accade, ti fa sottrarre delle ore al sonno, o alle persone con cui potresti stare o, comunque, a una qualsiasi altra attività senza dubbio molto più remunerativa. Senza contare, poi, che il più delle volte non concede nemmeno la soddisfazione di quanto si è fatto. Ti rimane sempre quel senso di incertezza, di incompiutezza, anche quando lo sforzo per rendere al meglio la materia è stato lungo e notevole. E questa convinzione di impotenza di fronte a un testo ti segue anche quando, fisicamente, lo deponi, lo lasci da parte per continuarlo in un altro momento. Sicché l’insoddisfazione intacca anche l’umore che diventa umbratile, incostante, coinvolgendo chi, inconsapevolmente, ti sta vicino
    Mi fermai li, di colpo, aspettando la logica replica che, nonostante un guizzo maligno negli occhi del presidente della giuria, invece non venne. Ci fu solo una rapida e conclusiva stretta di mano, giusto per farmi intendere che il mio turno era finito e il posto sul palco spettava al prossimo premiato.

Tiziano Broggiato
febbraio 1992