IL ROSSO E IL NERO
anno 8, numero 16, ottobre 1999
poesia e critica, pp. 99-103
Daniela Attanasio
da “Il possibile vero”
Palermo
Da sola ho attraversato le strade di una larga mattina –
la luce tagliava facciate di chiese
e bàsole lucide come grandi occhi umidi di lacrime.
Il sole entrava a raggi, tingeva la via di rosso
e le arance mature vendute sui carretti –
il sole riscaldava i miei sandali splendenti
di lamine d’oro. Era luce su ogni cosa
era luce abbagliante che improvvisa stanava
i miei pigri pensieri e tutte le domande ormai già consumate
dal gelo dell’inverno.
Come si fa, mi sono chiesta ferma nel mezzo della piazza,
come si fa a mandarti
un messaggio d’amore?
*
(se si potessero trattenere le parole
se le parole potessero trattenersi in gola
riposare tranquille come un piccolo gozzo ancorato in darsena
e poi in un giorno qualsiasi dell’anno
uscire in mare aperto
prendere il largo
e disfacendo una rete d’inganni
sconfiggere l’irrealtà del sogno)
*
in quella larga mattina
ho camminato su maioliche di luminosità mediterranea
e a labbra chiuse ho detto ‒ grazie a te provvidenza divina
madre di questa terra
dove la vita entra più che altrove
vistosamente nuda, impetuosa, assassina
grazie per questi intonaci guasti
che tremano al vento come vecchie lenzuola
per le ali verdi delle persiane aperte
che sembrano prendere il volo
per queste tute blu appese ad asciugare
simili a calchi d’uomo scoloriti dal sale
li ho visti alzando gli uccelli
verso un cielo nomade
appena increspato di bianco,
li ho visti guardando la montagna
profonda nel suo arcaico mare
e ho respirato indifesa, contenta di subire la seduzione –
ho ringraziato la provvidenza divina senza più dubitare
della sua esistenza
*
cresce ora un vento in penombra
sopra il silenzio metropolitano
mentre la luce si oscura
per il passaggio di una nuvola nera.
-Si scrive in ombra camminando piano
in un istante ho capito
ma poi ho dimenticato la parola
-bruciata
come rosa di macchia
arsa dal sole,
l’impronta commovente di qualcosa
che per un istante
ha vissuto nella mia seconda
o terza anima.
*
Ce n’è stata di gioia in noi ‒ pensavo ‒
che abbiamo amato i nostri corpi senza fare l’amore,
come se i nostri corpi fossero intorpiditi
dal sole, dall’abbraccio del sole che addormenta.
Abbiamo amato le cose intorno a noi
gli animali domestici, gli ulivi,
la montagna che scompare nell’ora del tramonto, che scivola
nel mare scarlatto del sangue di una vena.
Abbiamo amato il silenzio della musica
il silenzio delle cicale, la freschezza notturna
delle stelle sopra le nostre teste addormentate,
la freschezza dorata delle vigne di Cos,
abbiamo amato come nei secoli passati,
nei millenni passati.
Nessuna attualità, nessuna contemporanea complicità
in questo amore
È come un desiderio senza meta, pensavo
camminando per le strade notturne di Palermo
(un giro dopo l’altro
un giro dentro l’altro)
tra le macerie roventi
della piazza.
Chi sa se volevamo davvero amare
o se invece volevamo soltanto
prolungare il desiderio
del piacere?
*
E ora io parlo dalla finestra aperta sulla strada
raggiunta dagli occhi della città
dal vento che trasporta acqua di mare
e congiunge la mia voce alla tua,
dall’onda ambulante di un venditore di sale
che ti ricorda ‒ dici ‒ la strisciante preghiera del muezzin.
Si dice che questa città
ha perso le radici dei suoi alberi
franato il limpido verde della piana
sventrato il cuore dei nespoli dei ficus degli allori
il rosso degli ibisco
e poi si dice che il mare si è spogliato della sua vivezza
che il mare
è cancellato in un’assenza compatta d’aria e di cielo.
Ci sei? le vedi le magnolie assetate e pesanti,
le loro fronde di metallo? la luce
perenne che oscura il sole?
lo senti un richiamo come un sibilo di disperato amore
per quello che è rimasto dopo il crollo?
Mi manca il coraggio per continuare a guardare
ma la ragione è – il possibile vero –
per questo resto qui,
dentro la fuga del giorno
che invita a un altro giorno
e cosi
ancora
dai secoli passati
la vita spunta
dalla luce e dal legno