IL ROSSO E IL NERO
anno 8, numero 15, aprile 1999
poesia e critica, pp. 66-69
Vitaniello Bonito
“Viola più bella del ghiaccio”
*
Camminare è solo un sogno
e non serve
accendere le luci
non c’è nulla in questo
corridoio di ferite
*
Quel che avviene in lei
quel che sopravvive
di vasi azzurri e di foschie amorose
è un diario senza giorni
tende bianche
in un’estasi di spine
*
Sempre vivente respira
inverno del sonno
cosa sola nel ramo spogliando
tra bianche di voce acque vanamente
Di apparire in sogno mi concedi esperimento
nient’altro di vivo nel regno dei cieli –
viola più bella del ghiaccio
ricama vestiti ai serpenti
*
Il mandorlo d’inverno
fulminato nella prima fioritura
dilaga in una luce senza peso
ma è un’altra cerimonia
di mani e cani nei tuoi passi
dopo tanti anni…
*
Non mi sgridare – la salita
si fa sempre più bianca
più lungo l’inverno
Nessuno canta
nessuno mi canta le canzoni
ti prego mamma
cantami una canzone
*
“sciogliete i cani
guardatevi
dai topi che in sogno non vedete”
*
Questo è lo sterminio della pelle
il vuoto dei petali dominio
la presenza incorporale
il duro battere di becchi
la fissità inviolabile
il vagito lungo i muri
la lenta dilatazione della piaga
*
sciolta radiata
soglia al silenzio
d’anime e steli
corpo che può
martirio del canto
ben lavato ascoltare
ma il sudore non passa
dai vuoti di pelle
trapassa
in un fremito bianco
e stacca
la vita la stacca
come gesso
oltrevento
*
Si mostrerà poi finalmente
ma senza essere vista
alle nostre acque
vive per cerchio che si salda
gridando alla neve “basta
basta soffocare
la fiamma in cui tremiamo”
lo stretto di sangue e nubi taciturne
“basta con le botte” – aprile
è un campo di stimmate su corpi
che si cercano
bambini
per quanta vita
mi sarà data
– mie le tue parole –
arriverò se mi vorrai vento
nel cuore della tua notte
*
Sta morendo nel silenzio
come dentro sé chi danza
spegne la sua stessa
incandescenza
*
Solo il nome
sui viventi spezzati.
Ma non il tempo
che passa nella carne.
Più giù nell’impreciso
di tante origini si espone
deliziata da cosi tanto orizzonte
– si ritira nel sangue, ci abbandona.
La cerimonia dell’innocenza la solleva
la rapisce
*
E il mondo intero che crolla
– non il silenzio
non la piega di un’ombra,
resiste un inverno appena intravisto
in alto, in alto, immobile, cieco
*
Sarebbe altra voce
a parlarmi dal respiro
dalle mani deliranti
aperte nell’udito
se avanzasse in parola
se non fosse una sola
la distesa senza immagine
che da me si fa dissimile
a spegnermi
più della morte
un canto