IL ROSSO E IL NERO
anno 8, numero 15, aprile 1999
poesia e critica, pp. 79-83
Giancarlo Sissa
“Nel centro della caduta”
Amore mio
Forse una miniatura
che lo rappresenta
è stata trafugata
durante l’ultima guerra
da un soldato tedesco
ma non esiste – amore mio –
alcun disegno o quadro
che raffiguri De Sade.
Oggetti
Allora se tolgo oggetti
per riporli muti
se tolgo oggetti è che devo
e non voglio ascoltare
la loro voce – quella vera –
più vera nel varco delle ore,
non ascoltandoli
se frusceranno
come ali d’un sonno
brevi fischi e rantoli
s’insinueranno lenti nel riposo
nel sonno – colpevole comunque –
che batte come una fatica
– e lo dirò stringendo le labbra
appena, se li tolgo – gli oggetti
senza ascoltare, del resto
parleranno comunque
dovunque io li metta
– al loro posto inventato
oppure a lato –
in un sudore d’anima
che non si può scordare
quasi il colore del passo
nella camera spoglia
per dolore
*
Ora
quello che sapevi ma non sapevi
o credevi di sapere nelle sere
meno vere della menzogna
lentissima gogna o il mio pensarci
se davvero sia la colpa solo mia
di tanta spoglia malinconia
di tanto nuovo sgomento a sognarci
felici per sempre nel vento
che non conta e non è vendetta
ma solo una povera fretta
di finire il falso riso la falsa
vita di te che senti il bene dove
resti smarrita luce
d’ignoto viaggio o sogno
che non hai saputo che solo
mi hai lasciato a badare quello
che non basta e ti resta quello
che non sai sapere quando il vero
morde le tue assenti sere
e nemmeno la chiameremo ipocrisia
ma spavento del volere dirti mia.
Quello che sono davvero
(lavando il pavimento di notte)
Sono la serva
che veglia la notte
senza pregare
che osserva ogni buio
senza salvare
sono ogni dentro
con gli occhi scavati
dal bianco dei cenci
da un senza vedere
il respiro che assale
nel buio se torna
la voce che storna
che apre il pertugio
nel cuore che tace
che tutta nel petto
comprime la luce
del mentire finire
in un rifugio di specchi
i miei anni strizzati
come sacchi nei secchi.
*
Lo sguardo sempre
la stessa direzione
l’invenzione continua
del saldatore – meccanica
del gomito del cuore ‒
sono foglie tremanti
nella pioggia di sera
o il mio lento capire
l’acuminato sguardo
dietro l’angolo ghiaccio
l’osceno conoscitore
sporco di ruggine e ferro
azzurro di prugna
non ci si fida più
dei sussurri – lo sguardo
sempre la stessa direzione
– e quella, quella poi
che ritorni se vuole ‒
è l’invenzione incessante
del tornitore la levigatura
del tempo la meccanica
del cuore cui c’inducono nubi
o il non tornare – quella
quella poi lasciamo stare –
persi i contatti senza scampo
ci zavorriamo al rosso dei tetti
nella combustione del lampo
– e allora che piova
che ghiacci e quella
quella poi che ritorni
se vuole – lo sguardo
sempre la stessa direzione
è la meccanica del tempo
la tornitura del cuore.