IL ROSSO E IL NERO
anno 8, numero 15, aprile 1999
poesia e critica, pp. 91-95
Salvatore Jemma
da “Decisioni – Plenilunio di novembre, 28-36”
– Quando si prende la strada dalle
torri, verso i viali, a sera
nel traffico più intenso
guardando la linea a passo d’uomo
che macchine, dalla parte alta
all’altra, congiungono nel fondo
e si esce da quella, oltre il ponte;
allora si cammina verso il centro
finché la strada si restringe, al buio
che spira la città; e come
a sera, quando la giornata
è finita, gente dal lavoro
esce di fretta, non si guarda attorno
29.
a dicer ‘sipa’ tra Savena e Reno
da Mascarella fino a Castagnoli
dai colli al di là;
così l’Italia che da quelli scende –
dice l’amico e – stiamo assieme
dolce città che qui ti volgi
da una strada all’altra sopra
Irnerio, la Porta alle spalle
con Borgo S. Pietro sulla destra
dolce città che il vento piega
tra basse colline, sopra la pianura;
cosi l’autista osserva sull’asfalto
come si solleva (e ne è preso allora
ascolta parlare chi accompagna
per il centro; e dopo Belle Arti
alza il viso si appoggia allo schienale
ancora la rimira se dai lati
avvampa la città, che tutto l’anno
canta nel suo clang e suona sull’asfalto)
il pioppo altissimo che piega le
radici sull’asfalto, quello
in verde bianco e fulgente questo
verso la pianura, dove luna sale
che perdura, placa, si disperde
tiene – dice ancora – e cosi noi –
poi, fumando, riprese a camminare
e io con lui (dove la luce prima
della città tenace ricomincia
dalle torri di Kenzo; da quel sito
sul piazzale che macchine ricoprono
in file strette, l’autobus passando
a fianco di quelle, cosi velocemente
che smuove il lastricato, le fa
tremare o le segna talvolta;
allora si ferma a controllare
l’autista, poi prosegue;
l’oltrepassa la gente, da quel centro
per Stalingrado e, da li, al ponte
guarda la strada interminatamente
– alta la luna sopra i pioppi
verso la pianura o la Porta – e da
quel punto riprende a camminare;
come chi attraversa quella strada
prima aspetta e non sa cosa fare
allora per un attimo si ferma
– luce chi gli passa accanto –
poi correndo arriva all’altro lato
osserva il rio che scorre sull’asfalto;
cosi quella città si ferma, aspetta
la città che si ricopre di luce
dopo la Fiera e dopo i viali)
passato il Guasto, fino a Petroni
e, dopo Zamboni, arrivammo
fino a Rizzoli che scintilla;
dice l’amico – ascolta il cuore
che suona, assieme la sua voce
sempre amore accende, o
cantare come Malipiero suona
e fare un ritornello che ripete
osanna e gloria; la città ripeto
quando brilla come lingue di fuoco
si chiude tra le mura, e quella
alza, dalla riva al fiume
ombre silenti dagli occhi di bragia;
parla e negli occhi ha luce
come stella (e brusio di pioppi
sale dalla strada, per Rizzoli
per entroterra, sopra la pianura)
che differentemente luce
la città nel buio, e si stende;
rimira il fiume, le case, le colline
che dei corpi fanno ardente fiamma
o sia risplende, e dice: amore
oh, amore mio verrà sicuro
austero, solitario e fiammante -;
dice – ascolta il cuore
oltre le case, dove luna cade
e illumina l’asfalto come
plastica che il fuoco curva
terribile a vedersi quando brucia
quando da lontano vampa
la città di case bellestanze
o getta fuori voce
un bel canto intonando, tuttanotte
di pioggia battente sulle case;
che si muove, brilla a Ravegnana
nel buio riverbero dell’acqua
quando scorre, e questa riflette
ogni cosa che passa; cosi quella
discende il fiume, sotto Riva Reno –
dice l’amico, e – ascolta il cuore
il movimento d’ombra scintillante
che dai viali, in piena luce, suona
verso la gobba dei colli o
come macchia scura sopra i pioppi
luce, allinea la pianura;
che la scalda, la piega il calore
nel cupo scorrere del Reno
(e spira vento di Bologna
vento che ritorni ancora
o risali con voce più forte
da strada a strada); di quello
s’accende la città tenace
come splende, luce il pellegrino