IL ROSSO E IL NERO
anno 7, numero 14, ottobre 1998
saggi: lo Sguardo, pp. 41-51
Grazia Pulvirenti
Lo sguardo rosso e la mano nera
“…potesse infine uno sguardo estraneo a questo mondo
posarsi su di me…”
Else Lasker-Schüler,
lettera a Franz Marc del 1913 i
Primi anni del nuovo secolo: le parole del Lord Chandos di Hofmannsthal si tramutano all’improvviso in occhi aperti su un vortice, spalancati al vuoto: “Una per una le parole fluttuavano intorno a me; diventavano occhi che mi fissavano…” ii.
Alla fine del primo decennio, nel mese di maggio, Arnold Schönberg dipinge un ritratto di estrema essenzialità nei tratti, vaghi e convulsi, che solo appena definiscono i connotati fisici del volto, macchie contrastanti di colore, ad eccezione degli occhi, incisi con precisione: pupille, fisse e sbarrate, emergono dall’inquietante profondità delle orbite e, cariche di una inaudita capacità di penetrazione, si affiggono nel vuoto, senza temerlo, sfidandolo. Per Schönberg il quadro, intitolato Der rote Blick (Lo sguardo rosso) (“Städtische Galerie in Lenbachhaus”, Monaco), appartiene, assieme ad altri dalle caratteristiche similari, al ciclo da lui chiamato Blicke (Sguardi), ribattezzato da Kandinsky, non a caso, Visionen (Visioni) iii.
Appena pochi anni dopo, nei primi giorni di un freddo aprile del 1914, probabilmente nell’atelier del pittore e critico Max von Esterle a Innsbruck, il poeta Georg Trakl, svegliandosi di notte da un sonno agitato e guardandosi allo specchio, dipinge un autoritratto, un volto che vorticolosamente precipita nelle orbite rosse e vuote, segnate da tratti duri, come scolpiti dal colore (‘Georg-Trakl-Forschungs und Gedenkstätte”, Salisburgo). Lo sguardo rosso dell’autoritratto trakliano è angoscia e disperazione, orrore di fronte al proprio io, “caricatura di fango e putredine… immagine speculare fin troppo fedele di un secolo empio e maledetto”iv, rassegnazione alla catastrofe storica incombente. Eppure, nonostante la percezione dell’esistenza come dolore e male irredimibile, nello spazio, che Rilke avrebbe definito “impenetrabile” v, della poesia trakliana si spalancano all’ “oro” di “stelle spente” gli “occhi rotondi” di Helian (Helian) e “angeli lievi” emergono “da azzurri occhi degli amanti che soffrono più mitemente” (L’autunno del solitario). Ancora una volta, nella pura lirica trakliana, la parola poetica diviene sguardo, adesso capace di penetrare il buio, la notte e di scorgere nelle schegge di specchi infranti e oscuri, barlumi di luce, riflessi di un ‘oltre’, intuito più che effettivamente circoscritto dalla parola poetica, inatteso approdo per il poeta naufrago fra sensi ontologici alla deriva.
Ancora dopo la prima guerra mondiale, lo sguardo rosso di un altro artista ‘visionario’ sarà in grado di trasformare la tenebra di una immanenza negativa in una intuizione di luce: ”… e le tenebre mi circondano … Luce! Luce! E da ogni muro scorrono a fiotti colori…”vi, scrive Alexej Jawlensky quasi a suggellare il compimento di quella trasformazione della prospettiva dello sguardo che, nel primo decennio del secolo, segna l’evoluzione dell’espressione artistica, il suo approdo a forme di una modernissima astrazione.
Nella fenomenologia dello sguardo si cristallizzano i momenti di una radicale metamorfosi della percezione estetica, le tappe della tormentata ricerca di nuove possibilità espressive durante quel processo di crisi epocale, di radicale rottura nei confronti dell’intera tradizione conoscitiva del mondo occidentale e delle sue modalità di rappresentazione formale, noto come crisi della fin de siècle: nel naufragio di sensi e significati, nella negazione dei linguaggi inadeguati a esprimere le drammatiche urgenze di un soggetto lacerato e in bilico sul baratro di incontrollabili eventi storici, lo sguardo rosso, lo sguardo cioè rivolto verso l’interiorità, lo sguardo dell’artista ‘visionario’, suggella l’esaurimento del mezzo espressivo tradizionale nella dissoluzione del segno, in una innovativa esperienza di Entgrenzung; delle diverse forme artistiche e di ricerca di un assoluto espressivo.
L’occhio e il mondo: dualismo in cui si può riassumere l’antitesi apparentemente insolubile di soggetto e oggetto, io e tu, spirito e materia.
Ancora poco prima della fine del secolo scorso, il mondo esisteva come realtà di cose e fatti da fotografare con occhio disincantato e freddo, o come arsenale dove attingere oggetti in cui proiettare, contenitori simbolici, sentimenti e passioni; poi verrà negato, stravolto in surrealistiche immagini che popolano i pianeti dell’inconscio. Solo il voyant, rimbaudiano conoscitore dell’ignoto, è in grado di penetrare con il suo sguardo il mondo e, come sua parte vivente e sapiente, di trasformarlo. Può realizzare questo rito di alchemica metamorfosi il poeta che, rinunciando alla vista superficiale dell’occhio che scruta l’apparenza della realtà, nell’esperienza della cecità (cieco è il cantore sin dall’epoca antica, come privo di vista viene rappresentato il poeta ancora da Giorgio de Chirico – Il sogno del poeta, 1914), della tenebra, recupera quel kandinskyano “sguardo verso l’interiorità”, lo sguardo nella notte novalisiana, regno non del nulla, ma di vita più autentica.
L’esperienza della tenebra diviene iniziazione alla luce: nel buio della notte, obliati gli inganni di una falsa realtà, l’artista cieco, stravolto dalla conoscenza dei mondi che si palesano nel suo viaggio nel “regno dell’interiorità”, acquisisce quello guardo in grado di penetrare altre regioni, un ‘altrove’ di luce, oltre la negazione di senso cui lo “sguardo semplificatore dell’abitudine” (Hofmannsthal) condurrebbe.
L’uomo della crisi prova orrore nei confronti delle menzogne del mondo dei padri, rimane paralizzato di fronte allo sgretolarsi della realtà, in balia di un radicale processo di disgregazione, acuto in Austria più che altrove, tanto dal punto di vista politico-sociale che ideologico e culturale: mentre un ordinamento politico plurisecolare e multietnico crolla come un castello di carte da gioco, irrompono, in ogni campo del sapere – dalla medicina, alla filosofia, alla psicanalisi, alla politica, all’economia – innovazioni teoriche che esautorano il precedente “paradigma di razionalità” (Gargani). Fra le macerie e i relitti del passato, l’individuo smarrisce le certezze di ieri e annaspa fra le proprie dirompenti contraddizioni, preda dell’esplosione di una pluralità di forze molteplici e contraddittorie. Il suo Io, amorfo amalgama privo di centro, del quale Musil ha offerto l’immagine più emblematica, è proiezione dell’eterogeneità, della pluralità, di tutte le discrepanze del reale; disgregato e frantumato in una proliferazione di discordanti esperienze, assiste a quella mostruosa epifania del reale che, al suo sguardo attonito e passivo, rivela inquietudini inedite:
… come una volta avevo visto in una lente d’ingrandimento una zona della pelle del mio mignolo, e mi era parsa una pianura con solchi e buche, cosi ora mi accadeva con gli uomini e le loro azioni. Non riuscivo più a coglierli con lo sguardo semplificatore dell’abitudine. Ogni cosa mi si frazionava, e ogni parte ancora in altre parti, e nulla si lasciava imbrigliare in un concetto. Una per una le parole fluttuavano intorno a me; diventavano occhi che mi fissavano e nei quali io a mia volta dovevo appuntare lo sguardo. […]
Nessuno di quelli che sulla soglia di casa si scoprono il capo quando verso sera io passo a cavallo, potrà indovinare che il mio sguardo, che essi sono abituati a incontrare rispettosamente, si spinge con tacita nostalgia sulle assi imputridite sotto le quali essi sogliono cercare vermi per i loro ami, penetra oltre la stretta finestra a inferriata della camera smorta, dove nell’angolo un angusto letto coperto di cenci colorati pare sempre in attesa di qualcuno che vuole morire o che vuol essere dato alla luce; che il mio occhio indugia a lungo sul brutto cagnolino o sul gatto che scivola flessuoso tra i vasi di fiori … Giacché quel mio ineffabile sentire può rivelarmisi alla vista di un solitario fuoco di pastori più facilmente che a quella del cielo stellato; allo stridio dell’ultimo grillo prossimo alla morte, quando già il vento d’autunno sospinge nubi invernali sui campi deserti, più che al maestoso tuonare dell’organo (tr. it. p. 45 e 55-57).
In tal senso l’esperienza poetica del Lord Chandos hofmannsthaliano è la sintesi di quella crisi della percezione dell’uomo che si affaccia, incerto e titubante, sulla soglia dell’epoca moderna: il suo inquieto sguardo inizia a penetrare nella trama nascosta della realtà, percependone i suoi aspetti prima sconosciuti, il suo consistere di atomi irrelati, incomprensibili ma inconfutabili. Allo sguardo di Hofmannsthal si palesa, in maniera del tutto improvvisa, una realtà diversa, misteriosa e irriducibile ad una logica razionale, quella stessa realtà che, in maniera non molto dissimile, si manifesta allo sguardo, non meno stravolto, del giovane Törless di Musil e del Malte rilkiano: -“… un’immagine, no, una realtà, una strana, incomprensibile mostruosa realtà, in cui mi trovai immerso senza volere…”.
Anche il giovane Kokoschka dà voce alla crisi del soggetto moderno, nei suoi rapporti con se stesso e con il mondo, cosi come essa si manifesta nella perdita di relazione con l’altro, un tu adesso inafferrabile e inconoscibile. L’immagine prescelta è sempre quella dello sguardo e il rapporto conoscitivo fra due individui viene negato dal dubbio sulla effettiva funzione della vista quale strumento di conoscenza. In Mörder, Hoffnung der Frauen (Assassino, speranza delle donne), l’uomo, al culmine di un estatico stupore urla “Esisto veramente? Cosa ha detto l’ombra! …: Mi hai visto tu, ti ho visto io?” vii
Non a caso le parole di Lord Chandos si trasformano in occhi, cifra principe dello smarrito rapporto fra l’io e la totalità delle forme viventi. La parola è indissolubilmente connessa allo sguardo: dal XVII secolo in poi viene ascritta alla parola poetica e al linguaggio più in generale (ancora il Wittgenstein del Tractatus) la funzione di rappresentazione (riproduzione) per l’occhio della mente, del mondo che nella sua totalità si riflette nell’occhio che vede, a sua volta strumento di quel che Lacan avrebbe definito “l’apparato specchio” della psiche. Tale rapporto che viene meno nell’epoca moderna, giacché la parola viene restituita alla sua autonomia, recuperando inedite facoltà di dire e significare, viene vissuto da Hofmannsthal nel suo più problematico aspetto: la parola mostra inadeguatezze e insufficienze per quella frattura che si è venuta a creare fra segno e cosa, per quell’incapacità del linguaggio di rapportarsi al reale, si trasforma in occhio, che non meno della parola stessa, mostra, nella sua paralisi di fronte alla realtà, il suo limite e la sua crisi.
Lo sguardo paralizzato di fronte alla visione di un reale frantumato e lacerato, lo sguardo che non è più in grado di cogliere la totalità armoniosa dell’essere, quel “significante rapporto con tutto il creato” (Hofmannsthal) è il retaggio ultimo della crisi della percezione naturalistica della realtà, dell’esaurimento dell’arte basata sul principio della mimesi e del modello di razionalità ad essa sotteso. Il rapporto fra esterno ed interno mediato dallo sguardo si inverte, giacché la conoscenza acquisita nell’elaborazione della realtà operata dai sensi appare ormai lacunosa e ingannevole, mentre l’anima si profila come la sede privilegiata di un più autentico approccio con il mondo. Il pittore-compositore dello “sguardo rosso” teorizza l’avvento di nuove forme conoscitive nella simbolica trasformazione dell’anima in sguardo:
Dobbiamo rimanere ciechi finché non avremo acquisito occhi, gli occhi in grado di vedere il futuro. Occhi che penetrino oltre l’apparenza del mondo sensibile (che è solo un termine di paragone), occhi che penetrino nel sovrasensibile. La nostra anima sarà quest’occhio viii.
Lo spazio dell’interiorità, lo “spazio dell’anima” indagato da Schönberg, è l’estrema utopia di una ricostituita totalità, contrapposta alla deflagrazione del mondo degli oggetti non più riducibile ad unità.
Nel dicembre 1911 appare, datato 1912, presso l’editore monacense R. Piper & Co., un libretto che nel corso dell’anno successivo viene ristampato in due nuove edizioni, sparisce subito dopo dal mercato (la quarta edizione vedrà le stampe solo nel 1952) e viene trasformato in una sorta di testo cult, per lo più equivocato nei suoi intenti: Über das Geistige in der Kunst (Lo spirituale nell’arte) di Wassily Kandinsky. Insieme a un altro trattato apparso qualche anno prima, nel 1908, presso lo stesso editore, Abstraktion und Einfühlung (Astrazione ed empatia) di Wilhelim Worringer, introduce, nel pensiero estetico, categorie e concetti sinora considerati come appartenenti a contesti intellettuali e discipline diverse, ovvero banditi dalla cultura materialista, innalzati adesso alla funzione di cardine della rivoluzione artistica che vedrà nel movimento del gruppo monacense Der blaue Reiter (Il cavaliere blu) la sua effimera, ma efficacissima, epifania, presto soffocata dalla violenza degli eventi del 1914. Due mostre (dicembre 1911 e maggio 1912) e quella sorta di “Nuovo Testamento” costituito dall’almanacco Der blaue Reiter, curato da Kandinsky e Marc, sempre per l’editore Piper, e apparso nel 1912, segnarono, nonostante le successive delusioni e amarezze degli iniziatori, la nascita di una nuova epoca, l’affermazione di una nuova prospettiva dello sguardo, oltre i limiti di ogni naturalismo e riduttivo realismo. Il movimento artistico monacense è solo uno fra i diversi cenacoli che si raccolgono in quegli anni nelle grandi e meno grandi città europee, animati dal prepotente bisogno di una radicale rivoluzione delle forme espressive. Gli artisti che si riuniscono intorno al Cavaliere blu agitano il vessillo della “grande astrazione” (Kandinsky) nella rivalutazione dell’interiorità come sede dello spirito e come scaturigine della grande arte del futuro. Un vibrante scritto di Kandinsky, Über die Formfrage (Sulla questione della forma), apparso come contributo nelle pagine dell’almanacco, riassume i termini della trasformazione auspicata nell’incisiva immagine di una fatale “mano nera” che, posata sull’occhio dell’uomo, impedisce la visione dello spirito:
Intere epoche negano lo spirito giacché gli occhi dell’uomo non sono in grado di vedere lo spirito. Ciò è accaduto nel XIX secolo e accade, per grandi linee, ancora oggi.
Gli uomini vengono accecati.
Una mano nera si posa sui loro occhi. La mano nera dell’odio. Chi odia tenta con tutti i mezzi di frenare l’evoluzione, l’ascesa.
Questo e il negativo, la distruzione. Questo è il male. La mano nera di morte ix.
Kandinsky, portavoce della sensibilità dell’artista moderno che ha liberato il suo sguardo dalla “mano nera”, non diversamente dall’artista primitivo, vuole “esprimere nell’opera solo l’essenziale dell’interioritàx ,tracciando quel cammino verso la ricerca dello spirituale come essenza primaria dell’opera d’arte che altri artisti, ognuno con i propri mezzi espressivi, avrebbe perseguito agli inizi del nuovo secolo: “l’interiorità del sentimento totalmente spiritualizzata e smaterializzata” viene indicata da Franz Marc come “il principale valore del quadro”xi, mentre Thomas von Hartmann cerca nella “voce interiore” il principio creatore e ordinatore dell’opera e Wilhelm Worringer consiglia di ampliare, estendere “lo sguardo interiore”, finché esso sia in grado di abbracciare la linea intera.
L’occhio rosso aperto sull’anima dell’uomo moderno, sulle sue contraddizioni, sulle sue dissonanze e sognate armonie, varca, come in un film di Cocteau, Le sang du poète, la cornice dello specchio, che ridona, fedelmente riprodotta, l’immagine della realtà: oltre la superficie riflettente non è il regno del nulla, si schiudono allo sguardo inquieto mondi che accendono ulteriormente la sete d’assoluto, il bisogno di esprimere il paesaggio dell’anima nella materia plasmata.
L’artista dallo sguardo rosso sperimenta l’inadeguatezza del proprio mezzo espressivo rispetto alla materia che urge in lui e intraprende quella ricerca infinita dell’espressione della “necessità interiore” (Kandinsky), un assoluto colto nei suoi accidenti e nelle contraddizioni del reale, in quello che Schönberg indica come l’essenza della vita, la tensione, il contrasto: strumento privilegiato di tale ricerca sarà l’estrema forzatura dei limiti del mezzo espressivo, in una commistione di forme e facoltà proprie di generi diversi, non per una volontà tardo impressionistica, ma per l’esigenza di potenziare oltre le soglie conosciute le facoltà espressive dei diversi linguaggi, chiamati a ‘dire’ l’indicibile, a dar voce alle “vibrazioni dell’anima”, a dipingere i “paesaggi… visti nell’anima” xii.
La propensione, in ogni forma d’arte, per strumenti e modalità espressive di un’altra, nella ricerca di equivalenti segnici – il tendere della musica verso il colore (Klangfarbe- melodie), della poesia verso strutture musicali e intensi effetti coloristici (la lirica di Georg Trakl, di Else Lasker-Schüler), come infine della pittura verso valori di armonia compositiva musicale (Schönberg scrive della musicalità dell’opera pittorica di Kandinsky e quest’ultimo lavora ad una “Teoria armonica della pittura”)xiii è il sintomo più evidente del fenomeno che qui definiamo della Entgrenzung, scaturente dall’ansia di superare il limite del segno nella riacquisizione della sua piena autonomia: non più contenente di un contenuto, il segno è forma significante, esteriorizzarsi delle intime leggi costruttive dell’opera, hofmannsthaliano manifestarsi della profondità nella superficie: “La forma è l’espressione esteriore del contenuto interiore”xiv.
Alla base di ciò è la visione, anch’essa proclamata da Kandinsky, della comune derivazione di tutte le forme artistiche da una stessa radice; tale teoria, spesso dichiarata, altre volte sottesa nella ricerca dell’artista, scaturisce da un’estetica del Gesamtkunstwerk, rielaborata nei termini di un capovolgimento degli originali intenti formali wagneriani e dei mezzi espressivi, minimali adesso, non più monumentali, basato su una innovativa prospettiva dello sguardo: l’opera d’arte, nel suo andare oltre i limiti del proprio mezzo espressivo, opera una dissoluzione dei segni mimetici dei diversi linguaggi verso forme di astrazione, in grado di manifestare, nella loro reciproca interazione, “il suono interno” (Kandinsky), il mondo interiore dello spirito colto dallo sguardo rosso, lo sguardo che si è schiuso ai regni dello spirito, lo sguardo-anima di Schönberg, lo sguardo “estraneo a questo mondo” di Else Lasler-Schüler, lo “sguardo vibrazione dell’anima” di Kandinsky, lo “sguardo blu” degli amanti trakliani, quello “argenteo” della loro riconquistata unità:
…
Fra breve, stelle s’annidano nei sopraccigli stanchi
in fresche camere torna una contentezza quieta
e angeli lievi escono da azzurri
occhi degli amanti che soffrono più mitemente.
(L’autunno del solitario)
…
Oh l’ora amara del declino
quando noi fissammo un volto di pietra in acque nere.
Ma radiosi sollevano le palpebre argentee gli amanti:
un solo sesso. Incenso effondono rosei guanciali
e il dolce canto dei risorti.
(Canto dell’Occidente) xv.
Lo sguardo perde ogni connotato meramente fisico che gli è proprio, diviene strumento di un’astrazione assoluta in grado di fondare nuovi sensi e significati oltre la negazione della storia e della morte. Cosi scrive Else Lasker-Schüler, in una poesia in ricordo dell’amico pittore Franz Marc, caduto sul campo di una guerra combattuta come ineluttabile destino di lutto epocale:
Arpe divennero i nostri occhi
mentre piangevano: concerto nei cieli xvi.
Smaterializzato, lo sguardo diviene suono, sopravvive alla fine dell’uomo, in un altrove che l’occhio umano non sa e non può vedere, che a volte può solo intuire. Una lacerante epifania di luce.
NOTE
i Else Lasker-Schüler, Briefe und Bilder, in “Die Aktion”, III, 6 settembre 1913; cfr. anche Franz Marc Else Lasker-Schüler, Der blaue Reiter präsentiert Eurer Hoheit sein blaues Pferd, a cura di Peter-Klaus Schuster, München 1987 (quinta ed. 1996), p. 88 (le traduzioni, ove non indicato diversamente, sono nostre).
ii Hugo von Hofmannsthal, Ein Brief, in “Der Tag”, 18/19 ottobre 1902; tr. it di Marga Vidusso Feriani, Lettera di Lord Chandos, introduzione di Claudio Magris, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 1974 (ristampa 1985). p. 45.
iii Cfr. Arrold Schonberg. Das Bildnerische Werk, catalogo della mostra allestita al “Museum des 20. Jahrhunderts” di Vienna e al “Museum Ludwig” di Colonia, a cura di Thomas Zaunschirm, Klagenfurt, Ritter Verlag 1991, p. 369.
iv Lettera a Ludwig von Ficker del 26 giugno 1913, n. 85, in Georg Trakl, Dichtungen und Briefe, edizione storico-critica a cura di Walther Killy e Hans Szklenar, 2 voll., Salzburg, Otto Müller Verlag, 1969, vol. I, p. 518.
v Lettera (febbraio 1915) di Rainer Maria Rilke a Ludwig von Ficker, cit. in Erinnerung an Georg Trakl. Zeugnisse und Briefe, Salzburg, Otto Müller Verlag, 1959 (sec. ed.), p. 11.
vi Alexej Jawlensky, lettera a Emmy Scheyer del 25. 1. 1936; cit. in Armin Zweite (curatore), Alexej Jawlensky. 1864-1941. Katalog zur gleichnamigen Ausstellung in der städischen Galerie im Lenbachhaus, München 1983, p. 114.
vii Oskar Kokoschka, Mörder, Hoffnung der Fraun, in “Der Sturm”, 1910, pp. 155-156 (Prima edizione nel programma di sala dell’allestimento del 4 luglio 1909 al “Gartentheater” nell’ambito della “Internationale Kunstschau 1909” di Vienna).
viii Arnold Schönberg, Gustav Mahler, in Stil und Gedanke. Aufsätze zur Musik. Gesammelte Schriften, a cura di Ivan Vojtech, Frankfurt/ M., Fischer, 1976, p. 24.
ix Wassily Kandinsky, Über die Formfrage, in Der blaue Reiter, München, a cura di Wassily Kandinsky e Franz Marc, München, R. Piper & Co., 1912 (settima ristampa rivista dell’edizione del 1965 a cura di Klaus Lankheit: 1997), pp. 132-182, qui p. 136.
x Wassily Kandinsky, Über das Geistige in der Kunst, München, R. Piper& Co., 1912; ristampa con prefazione di Max Bill, Bern, Benteli Verlag, 1952 (decima edizione), p. 21.
xi Cit. in Der blaue Reiter, Monaco, Catalogo della “Städtische Galerie im Lenbachhaus”, 1966, p. 41.
xii Questi i termini adoperati da Stanislaw Przybyszewski in merito ai quadri di Edward Munch, cit. in Susanne Neuburger, Blicke, Visionen und Bilder, in Arnold Schonberg. Das bildnerische Werk, cit, pp. 100-113, qui p. 110.
xiii Lettera del 5 aprile 1912 di Wassily Kandinsky a Hans Bloesch cit. in Le cavalier bleu, a cura di Hans Christoph von Tavel, Bern, Benteli, 1986, P. 202.
xiv Wassily Kandinsky, Über die Formfrage, cit., p. 137
xv Georg Trakl, Dichtungen und Briefe, cit., vol. I, pp. 61 e 66.
xvi Else Lasker-Schüler, Als der blaue Reiter war gefallen…, in “Neue Jugend”, I, Februar/März 1917, n. 11/12, p. 245; cfr. ID., Gesammelte Werke in drei Bänden, voll. 3, a cura di Werner Kraft, Frankfurt/M., Suhrkamp, vol. 3, Verse und Prosa aus dem Nachlaß, p. 142.