IL ROSSO E IL NERO
anno 6, numero 12, aprile 1997
poesia e critica, pp. 89-94
Norma Stramucci
da “Erica”
In mezzo alla gazzarra
notturna delle zanzare
che per me hanno la punta
aguzza di ferro, ed il verso che scrosta
la ruggine dalle lamiere, da sveglia
sul letto io sento
le foglie che scendono dall’acero, piano
aggiustarsi sul prato.
Fuori dal finestrino tendo al vento
il mio foulard di seta,
come ad un bagno leggero di sabbia del deserto.
Poi ci faccio i costumi per un clan intero
di tribù beduine,
i fondali e le quinte necessari alla scena
nel teatro del cruscotto.
In falsetto io canto una canzone dura
prima di andare a mangiare
le ceneri dei morti.
Loro mi accompagnano soffiando in una conchiglia
mentre ci ascolta una colomba
dalle zampe calzate, ed un ciuffetto.
I muri esterni di questa mia casa
sono tutti una lastra d’avorio istoriata
Praticamente un cofanetto bizantino
con me dentro che non mi accorgo se il vento
dal nulla tira su gli alberi di neve
o all’aria che manca diventano i campi
una sodaglia.
Talmente ho paura accada loro qualcosa
che il mare mi porta il corpo di una cagna:
Ecuba a cui, sulla tomba di Achille
hanno ucciso una figlia.
I frassini senza foglie,
le verdure del minestrone surgelate
e l’uggia in cielo una galera senza via di fuga.
Ma dentro al tuo sorriso largo,
figlietto mio meraviglioso,
io vengo a raccogliere il granturco
e a prendere le vesti che le ancelle allegre
filano per noi con le porpore spartane.
Mentre preparo un biberon di latte
guardo il sole che nasce come fossi
in riva ad un oceano africano.
-O Iruwa- gli dico, -grande, bello
e rotondo, proteggi e benedici
tutti quanti i miei figli-.
Ho davvero la testa dell’animale -ma quale?-
So di amare il fianco della montagna
esposto sempre al vento,
i tanti rami dell’erica (ognuno m’è parte,
e ognuno va distante dall’altro).
Io, che bestia solitaria e inquieta
amo il cibo che non ho
e mangio Whiskas, nella ciotola del gatto.
Vieni con me nel sogno, piccolina
a vederti fanciulla guerriera:
Camilla che uccide i giganti troiani,
Elena, sulle rive dell’Eurota.
Ma quando correrai
veloce più di Atalanta
e vorrà vincerti Ippomene,
attarda il tuo passo alato,
incespica nel nastro dei calzari.
Candido è nel mio cuore:
e questa è casa mia, davvero il migliore
dei possibili mondi. Ma dal giardino ho cacciato
le locuste che saltano, la furia dei geni
dal rovo, le lucertole che annunciano
la morte senza ritorno. E per avere
a portata di mano il paradiso
ho fatto tanto posto
ai fiori giallo-pallidi del loto.
La mia casa ho fatto con il mio primo figlio:
luce dell’alba; con la mia bambina:
la testa gialla della punta di una piuma;
con l’ultimo mio piccino: nuvola azzurra.
Col polline dei gerani parigini
fioriti sul balcone
e con lo zucchero d’acero che non manca in dispensa.
Esco di casa solamente
per andare ad uccidere i tacchini
da cuocere per i miei tesori
a fuoco lento, insieme alla grassa
carne degli orsi.
Se uccido la gallina per il brodo
la lascio morire stretta nel lavandino
perché non si giri e non nasconda il petto.
-O dea della foresta, Nyule- allora prego,
-così hai visto che la mia casa è pura.
Dammi l’acqua che mi serve: io possa
cuocere anche oggi, per cena
la minestra-.
O Dio, che in casa mia non hai
inaridito il riso prima di fiorire,
vengo scalza nella tua grotta ad accenderti un lume.
Mi porto dietro i figli; non farci incontrare
la iena rossa che mangia i bambini.
Arriva la maschera dell’inverno,
arriva la maschera del corvo
e si schiantano addosso al mio giardino.
Sotto bufere ed inondazioni allaccio a terra
quanto posso, la betulla, il lauro, il faggio.
Oh maledetto
Mahamai, hama, hamamai; hi hama ma mai hama.
Maledetto! Spirito-Antropofago-del Nord.
È festa stasera, e c’è un tesoro per cena
La notte scorsa (tranquilli eravate nei vostri letti),
come una strega le ho raccolte, sotto la luna piena.
Venite, ho già inchiavato il cancello,
ho messo la tovaglia più bella, mangiamo
le erbe, e le piante salate dei luoghi deserti.
Quando fa caldo e al canto del cuculo
impazzisce il bestiame, io faccio
il bagno nel fiume; ed affinché
dolci siano le correnti
mi sfilo dal collo ad una ad una le perle,
e all’acqua le dono.
In questa mia vita
che come la montagna dell’Avesta
ha la cima attaccata alla nuvola più alta,
vorrei nutrirmi solo di pane e d’armonia;
ma si turba
l’anima di fanciulla
poiché vede nel cielo i due lupi
andare dietro al sole e alla luna
-per inghiottirli-.
Io che mescolo il tempo (ma il tempo mi sfugge)
come amalgamo al riso funghi e zucchine,
oggi che è Natale vi regalo
la palla che fu di Zeus bambino.
È tutta d’oro e disegnata
con cerchi di smalto azzurro.
Andate nella notte a gettarla nell’aria
e della stella cometa vedrete
la scia luminosa.
Quando ho scelto il mio destino
-anima della boscaglia-
m’ha illuminato Iddio:
un uomo, Carlo mi è apparso
fare i nodi ad una foglia di palma.
Così ha scansato per me le acque secche
e insieme a lui ho girato danzato e voltolato
attorno alla sorgente
che zampilla sprizza e schizza
le acque bagnate.