IL ROSSO E IL NERO
anno 5, numero 11, aprile 1996
poesia e critica, pp. 68-72
Alessandro Fo
“Ricordi di professori”
Agosto
Era già molto tardi ”Ma potremmo,
pensa, fermarci ancora per un po’? ”
”Come?
– (sentivo male,
tappi alle orecchie
per scongiurare l’acqua) ‒
…E un po’ fiscale
ma glielo chiedo”.
La bionda dea assentì
dal bordo della vasca
così nuotammo ancora nel tramonto
soli nell’acqua.
E poi di vasca in vasca
qualche commento. E allora, a parte il bello
delle immersioni a sera sempre, era bello
in quell’estate priva di vacanza
studiare, e poi annegare
nel cloro i fasti del metodo del Lachmann.
E lei chi fu?
Chi lo sa
(senza udito
con poca vista e entrambi con la cuffia)…
Mi sa che la rividi da vestito
bere di corsa un sorso d’acqua al bar
e poi inseguire sul tapis-roulant
una sua buffa meta inafferrabile.
”Infaticabile!”
”Come? –
(aveva un walk-man)…
Relazione del Preside
Quand’ero a Como militare di leva
alle otto del mattino l’alzabandiera
di fronte all’adunata mi commuoveva.
Partiva il disco dell’Inno Nazionale
in saluto alla Patria che si leva, e
tutta l’Italia in quell’istante era uguale:
dodici paralleli di piazzali
schierati sull’attenti: che emozione.
Così oggi, al mio posto di direzione,
assegnato a un presidio di frontiera
(vista dalla finestra
la primavera incipiente)
avverto intera la solennità del momento.
Qui dove sto, lo Stato mi ha incaricato
di governare le sorti di una scuola.
Sembra soltanto, che non accada niente.
E una realtà fatta di poca gente
alla periferia, si dice, dell’impero.
Ma “rimboccate – diranno – le maniche, non severo, serio,
il suo Istituto Magistrale lo ha risollevato
dalla rovina: un corso sperimentale
e sono ricominciate le iscrizioni”.
L’erba cresce nel prato.
L’Istituto è pulito.
E vola.
A qualche cosa la mia vita vale.
Stato, Bandiera: qui, tutto normale.
Vicino a Minturno
(avvistamento di un poeta)
Innaturali sull’asfalto, zoccoli,
non gomme, trascinavano nell’aria
gli sposi alti sul cocchio (lui in azzurro).
Lo scalpiccio improvviso,
la scocca curvilinea del calesse
sul lungomare, e il velo bianco al vento.
“Questa è la vita” e poi, sornione e lento
levò un saluto Elio Filippo Accrocca.
Terrazza sotto lo studio
Vuote dei bei piedini delle dive
che le tengono ancorate alla vita,
come affrettandosi a nozze di canzoni
le calze sgambettavano nel vento,
su per la scala del meriggio, insignita
di quella tramontana trasparente.
Con Audrey e Paolo ero anch’io fra i testimoni:
si sposavano Azzurro con Moon River.
Un suo irragionevole sconforto
Fu allora, alzandosi per andare via,
che Patrizia gli disse ”Professore,
vede, non so se è giusto che io cerchi
altro futuro da quello normale.
Possono i miei compagni,
nati in famiglie colte e facoltose,
o a loro volta figli di professori.
Mio padre è manovale.
(È molto tempo
che ho quest’ansia). Forse è una presunzione
per me aspirare a una sistemazione
che mi consenta di studiare e vivere
(come può fare lei)
di quelle
cose cui tendo
e lei mi inclina.
Intendo,
le cose belle”.
Il sabato dell’Istituto
Entrò di sabato. Il vecchio Istituto
aveva tutte le parvenze dell’acquario.
Vecchi studiosi vi nuotavano lenti
tenuti dalle carte sempre giovani,
con giovani già vecchi e macilenti.
Nulla più caro di quell’aria di sgombero,
ultimi scarti prima di domenica
(giorno anche lui sacro allo studio, ma a casa).
Affrontò una questione. Nevrastenica
gli franò addosso la bibliografia non tocca,
lo scoraggiò. Così pensò: è venuto
il tempo di sfrondarne la mia vita.
Senti il richiamo delle (più superficiali?)
zone, cui giunge calorosa la luce.
Sognò qualcosa che valesse la pena
per la ‘congetturale’ altra metà del tempo:
lei e i futuri bambini,
riflesso acceso di cristalli vivi.
Si, stringendo il campo, fra due quadre
respingere il superfluo come espunto.
Li fare punto.
Non affannarsi più tanto al di fuori.
Guardava fuori
con la penna in bocca,
lo traversò un ricordo di sua madre:
”Su con la schiena!”