IL ROSSO E IL NERO
anno 5, numero 11, aprile 1996
racconti brevi, pp. 6-14
Alessandra Ritondo
Clandestini
LEI è nata in un quartiere popolare e ancora vive li nello stesso palazzone del ‘600 ricco di storia e di stucchi rovinati dal tempo dove la principale occupazione degli inquilini consiste nel chiamarsi di continuo l’un l’altro a gran voce, di preferenza attraverso la tromba della scale così la qualità del suono migliora.
La portiera è una candida vecchietta tremula che parla con un grosso vocione da baritono ed ha un figlio bacchettone con la testa a forma di zucchetta e la mascella prominente a balconcino. Entrambi non si fanno gli affari loro.
LEI è molto bella e vive sola con gran dispetto della gente del quartiere che al suo passaggio mormora sempre un “chissà-perché-non-si-è-sposata-cheppeccato-ormai-è-zitella”.
Nonostante l’aria tranquilla non è affatto contenta di quello che la vita le ha dato finora e la notte del suo compleanno, gran brutto sogno! ha visto i suoi trent’anni salire su un treno in corsa e prendersi gioco di lei salutandola con la mano dal finestrino.
Non ha molti amici. Frequenta spesso un vicino di casa e pranzano insieme litigando furiosamente su tutto, un po’ per noia e po’ per principio.
LEI lavora in centro per una grossa struttura commerciale con formula part-time, ciò significa che lavora quanto gli altri ma a stipendio ridotto.
Piace molto ai colleghi perché è timida, riservata e arrossisce sempre quando le parlano e così la mattinata trascorre in un tormentato alternarsi di colori, come se qualcuno provasse su di lei un nuovo tipo di semaforo bicolore incorporato. Ha avuto molte storie con uomini ma mai un vero amore; non si è mai innamorata, non ha mai sentito il fringuello dell’amore frullarle in petto anche perché in tal caso sarebbe già morta di paura: a chi piacerebbe scoprirsi un fringuello in petto?
Non hai mai sentito un tuffo al cuore nel vedere il suo uomo anche perché il Suo Uomo l’ha sempre atteso.
Gran brutta bestia è l’attesa.
Si attende e non si vive o si vive in attesa di qualcosa.
E mentre si attende si sogna.
E se poi arriva quello che si è sognato non provoca mai l’emozione che si è attesa perché in qualche maniera lo si è già vissuto raccontandoselo.
E se poi quello che si attende non arriva si ha l’impressione di aver sprecato una vita.
LEI senza amore si sente senza vita.
Gli uomini con cui lavora vorrebbero portarsela a letto, anche stabilendo dei turni fra di loro perché sono solidali, degli evolutissimi trogloditi metropolitani che la corteggiano di continuo. O la molestano?
Solo uno sembra non interessarsi a LEI: un padre di famiglia con tanta moglie, tanti figli e tanti impegni.
Lavorano bene insieme perché LUI è diverso, non fa “lo splendido”, e LEI si sente a suo agio tanto da accavallare le gambe senza pensarci su e se un lembo di carne trionfa in un tripudio di biancore LUI non fa una faccia di ramarro al sole e gli occhi gli rimangono nelle orbite.
In realtà i due si piacciono e molto. Ma ancora non lo sanno.
Credono di essere molto corretti e gentili e si scambiano continue cortesie.
LUI la cerca con lo sguardo quando non la vede e LEI, di nascosto, lo mangia con gli occhi e quando non lo trova in ufficio si sente un po’ spenta.
Entrambi sono molto spiritosi e si divertono insieme, fra un lavoro e l’altro.
I loro colleghi sono dei tristi individui (forse perché da piccoli hanno frequentato quegli asili dove tutti si impegnano a cucinare malissimo), e scoppiano di rabbia e di invidia un po’ perché LUI è il capo e il capo si sa è sempre invidiato, e poi perché ha affascinato la loro bella e inavvicinabile preda.
Ma i due ormai sono persi nel loro mondo di occhiate, sfioramenti di mani e languori nello stomaco e non badano ai pettegolezzi che sferzano l’aria come gelide lame.
Non possono più fare a meno di vedersi tutti i giorni. Si cercano, si telefonano con le scuse più banali, dimenticano documenti l’uno nella macchina dell’altro e viceversa.
Si trattengono in ufficio a lungo la sera ben attenti a non provocarsi.
LEI non invita più l’amico per il pranzo, con sommo dispiacere della portiera che ha un argomento in meno su cui spettegolare e LUI passa molto più tempo in casa con moglie e figli in balia del senso di colpa che ormai è dentro di lui – verme schifoso – grande come un pitone con i denti a motosega.
LUI è un uomo dolcissimo e molto tenero, pieno d’attenzioni, la tratta come un fiorellino delicato, le parla sorridendo, con serenità e a LEI non sembra vero di potersi finalmente lasciare andare, di essere sé stessa.
In realtà i due si amano e molto.
Ma ancora non lo sanno.
È stato LUI a capirlo per primo un giorno che l’ha vista scherzare con il capo reclinato di lato con un bel cliente.
E quello li, faccia di fauno, con un sorriso incantato la guardava ridere come una bambina e LUI, anche lui la vedeva piccola, indifesa e si scioglieva tutto di tenerezza per poi infuriarsi come lo spazzacamino che ha perso l’ultimo comignolo.
E più guardava e più gli si chiudevano gli occhi fino a diventare due fessure e così, con quella faccia da cinese si aggirava intorno ai due chiedendosi che cosa mai poteva essere quello strano malessere… forse gelosia?
Essì, cribbio!
E facile da riconoscere perché quando succede ha l’impressione che dai piedi gli escano delle radici che l’inchiodano a terra e le orecchie prendono a ruotare come dei radar e gli occhi, gli occhi diventano dei binocoli e le braccia delle pale da mulino a vento e poi, attentissimo come un meccanico che ha subito un torto e cerca di trovare il guasto si mette in attesa.
Subito dopo lo capisce anche LEI perché riaccompagnandola a casa LUI non fa altro che parlare della moglie e di come è perfetta e poi insiste con furia per portarle la 24-ore su per le scale passando per il filtro degli occhi pungenti della portiera-baritono e del suo figlio scemo ed una volta entrati in casa l’afferra per i capelli e la bacia forsennatamente sugli occhi, sui capelli, sulla bocca, sulle mani, sulla valigetta, sul gatto… mormorando frasi sconnesse.
LEI, spaventata lo sbatte fuori senza una parola.
PORCO-PORCO-PORCO
Moglie, figli, il suo capo… il suo migliore amico…
No, no… Porco …porco… ennò, porco diavolo!
E spalanca con foga la porta.
LUI è ancora li, mogio mogio sul pianerottolo e LEI gli vola fra le braccia e con i minuti contati finalmente si baciano, si stringono, si toccano, si guardano.
Una sola piccola ora hanno a disposizione perché a casa lo aspettano.
CLANDESTINI
Strettissimi uno all’altra, labbra contro labbra, mobili, vive, calde a mormorarsi il racconto degli ultimi mesi non detti.
Strettissimi fino a non potersi più muovere, mani mobili, visi mobili, pelle morbida e occhi teneri.
Parole soffocate dalla gioia di essere finalmente un po’ insieme.
Braccia a serpenti, gambe scalcianti, impazienza contenuta a stento.
E baci e morsi e ancora mani su corpi obbedienti.
E riso e sorriso e parole.
E parole.
Voce tenera, calda, ferma e decisa.
Strettissimi con orologio alla mano, nemico inclemente.
Quanti baci si possono dare e ricevere in un’ora?
E quante volte si cambia posizione per avvilupparsi meglio all’altro in un’ora?
E quante volte si pensa di voler possedere l’altro corpo in un’ora?
E quante volte, quante volte mani e bocca e viso e corpo possono morire in un’ora?
CLANDESTINI.
LUI poi va via.
Clandestini… che cosa significa?
Significa che da questo momento in poi quando saranno in macchina anche per un breve tratto LUI si guarderà intorno girando nervosamente il capo come il periscopio di un sommergibile per vedere se qualcuno l’ha riconosciuto e lo sta fissando.
Significa che non riusciranno più a scherzare in pubblico e saranno sempre un po’ impacciati.
Misureranno le parole davanti agli altri, eviteranno di chiamarsi a casa la sera e di incontrarsi da soli in ufficio.
IPOCRISIA
Ma si amano e molto, i clandestini.
L’amore clandestino costringe uno dei due a tornare solo a casa la sera e una volta chiusa la porta alle spalle si è ancora più soli.
Per LEI cominciano le attese, quelle vere e senza sogni, senza speranze.
Senza speranze perché ama troppo quell’uomo e paradossalmente ama troppo la moglie di quell’uomo e non ne vorrebbe mai nemmeno immaginare il suo viso mentre il marito le racconta tutto di loro e ama troppo i bambini per sopportarne altri senza padre.
Per LUI invece cominciano le menzogne. LUI, professionista “per bene”, padre, marito, uomo perfetto agli occhi della moralità del mondo sta stretto in questo nuovo vestito.
Vestito che una sarta cieca ha ritagliato per lui da un modello comune a mille altri uomini.
Sentendosi un verme, si corazza al riparo dei suoi valori morali usandoli come mattoni per costruirsi un muro inattaccabile che lo protegge dall’occhio del rimorso e della gente. E li dietro, apparentemente tranquillo, l’ipocrita si crogiola al calduccio della sua sicurezza congratulandosi per la bravura con cui gestisce la sua doppia vita.
Passano i mesi e i due si amano sempre più ferocemente, impazientemente, disperatamente e … prudentemente LUI la cerca sempre di meno.
E LEI cade, cade sempre di più nel pozzo del dolore.
E questo sconforto che la prende è indescrivibile.
Scoppia all’improvviso come il mal di testa.
Come il panico della folla durante un terremoto, come la nostalgia dell’infanzia, come il silenzio della notte.
E in questo silenzio vorrebbe urlare TI AMOOOOOOO.
Sotto le sue finestre, sulla sua faccia, sulla sua pelle.
Ma le pare poi strano e fuori luogo dire TI AMO: ti amo, ti oblungo, ti strapiricchio, ti spuracchio… parole.
Non ha senso dirlo, dire TI AMO.
Può solo ricordare i suoi occhi, le sue mani, la sua voce e ancora non sa stargli vicino senza tremare, senza volere, senza pensare e poi dopo senza piangere, senza dormire, senza sognare.
Ed ecco perché lo sconforto, la nostalgia ed il rimpianto.
Non può dire TI AMO.
Sembra ridicolo, stonato, anacronistico, fuori luogo.
Ma non sa come definire altrimenti questo bisogno disperato del suo collo, delle sue carezze, dei suoi sorrisi e dei suoi sguardi.
Forse non sa più vivere senza di LUI ed i suoi sogni?
Ed ecco perché lo sconforto.
E quando questo sconforto l’aggredisce, con violenza, tutti i suoi perché perdono i petali, poveri fiori appassiti ai suoi piedi. Ed è così anche per le speranze che si sfogliano come tulipani nei vasi al calore d’agosto.
Sta perdendo tutti i suoi fiori così esiliata nel deserto.
Passano i mesi e i due si amano ancora.
LEI vorrebbe fracassargli il cranio con la macchina per scrivere dopo averlo incontrato al supermercato con la famiglia ed averlo visto mentre vezzeggiava la moglie con il tono riservato di solito a lei.
Ed invece fa finta di nulla perché LUI le impone di essere sempre molto intelligente.
Quando si cade nel pozzo del dolore non se ne esce più. Tutto riaffiora come un’isola sommersa momentaneamente dalla marea e le si stringe il cuore, poi viene la paura che le tiene compagnia, fino al nuovo giorno, poi l’isola riaffiora.
Come ondate i ricordi, nei quali si perde e in cui cerca disperatamente la fisionomia di un viso, di una voce, di un gesto; squarci di colore in un tiepido grigio.
Tutto quello che c’è nel pozzo fa male. Il sole del deserto non potrà mai asciugare l’acqua del ricordo.
Acqua che però può sporcarsi fino a diventare melma, acqua sporca a cui strappa boccate di sapore che le consentono di sopravvivere giorno per giorno.
E LEI non ne parla con nessuno perché non c’è nulla più da dire. Non si possono raccontare notti e notti di solitudine passate a pensare, a chiedersi perché, aspettando l’isola che riaffiora nella speranza che porti con sé le risposte alle sue domande.
E non si può spiegare.
Ma ci sarebbe da dire.
Tutta l’impotenza a cui un Dio la castiga… la consapevolezza di ciò che le è stato rubato… tutto il dolore non urlato e non pianto…
Ed è così, nel nome dell’assenza di LUI e della sua necessaria indifferenza che finisce un amore.