IL ROSSO E IL NERO
anno 5, numero 11, aprile 1996
racconti brevi, pp. 19-23
Antonio Pascale
Bambini, spaventati uomini
a Dania
Quand’ero più piccolo facevo il Karatè che era una cosa per uomini e non per signorine. Un giorno, durante un combattimento, il mio compagno Nicola, che era una cintura blu, mi buttò per terra. Io cercai di cadere come mi aveva insegnato il Maestro che era un terzo dan, però non ci riuscii e caddi con le braccia in avanti invece che con le spalle. Successe che mi ruppi un braccio.
Dal braccio sinistro mi uscì l’osso da fuori e siccome era appuntito si conficcò sopra l’occhio di Nicola. Però non fu colpa mia, ma di Nicola. Perché lui non doveva cadere sotto di me, ma sopra di me.
Nicola gridò “ahi, ahi l’occhio” e si stava per mettere a piangere. Anch’io ero spaventato e pure io stavo per mettermi a piangere ma il Maestro gridò: “non fate le signorine!”. Io allora trattenni le lacrime, perché pensavo che non stava bene per una cintura gialla piangere. Nicola, invece, pianse a dirotto, nonostante il Maestro gli dicesse: “Ma che figura per una cintura blu, ti fai superare da una cintura gialla” che poi ero io.
Poi il Maestro mi bendò il braccio e insieme a Nicola, che gli cadeva il sangue dall’occhio, andammo all’ospedale.
Prima che mi aggiustassero il braccio il Maestro mi disse: “Pasquale adesso ti faranno un po’ male però tu comportati da vero samurai. Il vero samurai grida ma non piange.’
Intanto Nicola che stava seduto vicino a me sulla panca dell’ospedale diventava sempre più bianco e secondo me si fece anche la pipì sotto.
Quando il dottore mi chiamò, anch’io mi stavo per farmi sotto, però resistetti. Il dottore mi stese sulla brandina e mi coprì gli occhi, poi si mise a parlare, non so con chi che non potevo vedere nessuno, ma dalla voce mi sembrava una donna. Io pensai che il dottore non era preoccupato per l’operazione che mi doveva fare e quindi io potevo stare tranquillo. Ma quando il dottore mi prese il braccio e me lo tirò io provai un dolore che non avevo mai provato prima, tanto era forte. Il dottore tirava e continuava a parlare con la donna e poi mi diceva “Su, su, sta buono non gridare” e io gli volevo dire di parlare con il Maestro che lui poteva spiegare che un samurai può gridare, basta che non piange.
Quando uscii fuori con il braccio ingessato c’era anche mia madre che intanto l’avevano chiamata e anche mio padre. Mia madre appena mi vide si mise a piangere e scappò via e mio padre mi disse: “Mi sembri Pasquale passaguai” che io non conoscevo per niente ma che non mi sembrò una cosa bella e allora mi sentii in colpa per aver fatto piangere mia madre e anche la madre di Nicola che era arrivata e mi guardava con lo sguardo cattivo.
Mio padre poi mi disse che dovevo restare tre giorni in ospedale e che dovevo fare il buono altrimenti la mamma piangeva. Nicola se ne andò senza salutarmi e nemmeno sua madre lo fece. Mi portarono in una camera insieme a tante altre persone. Mi stesi sul lettino e aspettai. Arrivarono mia madre e mio padre. Mia madre disse a mio padre che qualcuno di loro doveva restare a farmi compagnia che non potevo restare solo tutta la notte. Ma il Maestro disse: “Ma no è un ragazzino coraggioso e poi queste esperienze fanno maturare”.
Mio padre gli rispose: “Ma quale maturazione, sembra Pasquale passaguai” ed io non riuscivo a capire chi fosse questo Pasquale che non avevo mai conosciuto né visto in televisione. Mia madre aveva gli occhi rossi, mi venne vicino e mi disse: “Che vuoi fare, te la senti di restare qui, da solo tutta la notte?”
Io volevo rispondere di no, ma mia mamma aveva la voce come quando è arrabbiata e allora dissi: “Si va bene”.
Al quel punto venne un infermiera che disse a miei genitori di non preoccuparsi che sarebbe stata lei vicino a me e m’accarezzò. La sua mano era così calda che non so come mai mi salirono le lacrime agli occhi. Però non piansi. L’infermiera poi disse: “Comunque qui stai tranquillo, adesso t’affidiamo a una persona che si chiama come te: Pasquale. Lo vedi? è quel signore lì; nella vita fa lo spazzino, sta qui da tanti mesi e non vuole più uscire. Dice che qui è come una famiglia e gli piace prendersi cura degli altri”.
Al quel punto Pasquale s’alzò dal suo letto e venne vicino al mio. Disse a mio padre “Dottò non vi preoccupate, qua ci sta Pasquale che ne ha passati di guai e sa come fare”. Così finalmente capii chi era Pasquale passaguai e pensai che chissà quanti dispiaceri aveva dato alla madre e al padre.
L’infermiera disse anche: “Se stanotte ti fa male il braccio vieni da me e ti faccio un’iniezione” Mia madre mi baciò e già aveva la voce meno arrabbiata, mio padre disse: “Mi raccomando” e io dissi: “Si, va bene”.
La notte arrivò presto e nessuno camminava più nei corridoi. Le luci dell’ospedale erano spente, solo una piccola lampadina era accesa sotto l’immagine della madonnina. La persona che stava vicino il mio letto che era un anziano si lamentava ad alta voce e diceva “O mamma, mamma mia”. Ed io mi sentivo più coraggioso perché ero un bambino molto più piccolo di lui e non chiamavo la mamma. Però dopo un po’ il braccio cominciò a farmi molto male e allora stavo anch’io per chiamare la mamma.
Poi non ricordo come m’addormentai, ma per poco, perché il signore di prima si era messo a gridare: “O madonna mia, madonna mia”, il braccio mi faceva molto male e ogni tanto mi usciva da bocca un sospirone però non piangevo, anche se avevo paura.
Allora cominciai a pensare a qualcosa che mi distraesse e pensai ai personaggi dei cartoni animati e a Tiger musk che faceva la lotta. Tiger musk era buono e anche se faceva a pugni e gli usciva il sangue non piangeva, né si rompeva il braccio. Poi pensai ai miei compagni di scuola e ai Salesiani che era la scuola dove andavo. Pensai a quello che c’aveva raccontato Don Tobia su San Domenico Savio: San Domenico Savio era un santo, quando era ancora bambino, ed era quasi santo, aveva detto ad un compagno che si toccava e faceva le cose sporche da solo, che era meglio pulire un chilometro di strada con la lingua che fare quelle cose sporche. Allora io pensai che Pasquale che faceva lo spazzino era uno che si toccava sempre e per questo era punito a spazzare la strada. Però non capivo come avevano fatto i miei genitori ad affidarmi ad uno così, che era uno sporcaccione.
Mentre ricordavo questi fatti venne l’infermiera che mi toccò la fronte e mi disse che c’avevo la febbre alta e che deliravo. Mi fece una puntura e dopo poco mi addormentai. La mattina mi sentivo meglio e chiamai mia madre per telefono che stava ancora dormendo. Lei mi chiese come avevo passato la notte e io dissi che l’avevo passato bene. “Bravo” disse lei “più tardi vengo da te” e aveva la voce dolce che significava che non era più arrabbiata con me e che io ero stato coraggioso. Quando mia mamma arrivò l’infermiera le disse che ero stato buonissimo e non mi ero mai lamentato e pure Pasquale ce lo disse.
Arrivò anche mio padre con dei suoi amici di lavoro ed era gentile con me e diceva ai suoi amici che ero un ometto.
Uno di loro mi dette una caramella.
Poi venne il dottore. Disse che fra due giorni potevo uscire e che dovevo tornare tra un mese per togliere il gesso. Però dovevo essere bravo.
Passarono le due notti ed io non mi lamentai mai anche se l’uomo vicino al mio letto si lamentava assai e faceva pure le puzze tanto che non si poteva respirare.
Il giorno che dovevo uscire dall’ospedale ero tutto contento e mi ero svegliato prestissimo tanto che non era ancora fatto giorno.
Arrivarono i miei genitori e con loro c’era anche il Maestro che aveva in mano una cintura rossa che viene dopo la gialla. II Maestro mi disse che appena usciti dall’ospedale m’avrebbe consegnato la cintura perché ero stato coraggioso e questa esperienza valeva come un esame di Karatè. Poi arrivò il dottore. Io ero già vestito e mia madre stava sistemando la mia roba quando il dottore che era uno nuovo disse che non potevo ancora uscire. Era meglio se stavo un altro giorno, così per sicurezza. Io guardai i miei genitori che dissero: “Va bene se è proprio indispensabile” ed allora dallo stomaco mi vennero le lacrime e cominciai a piangere come mai avevo prima pianto.
Tra le lacrime vidi i miei genitori e Pasquale che mi guardavano in silenzio e i miei singhiozzi coprivano tutti i rumori. Il Maestro con la cintura non lo guardai neanche più.