IL ROSSO E IL NERO
anno 4, numero 10, ottobre 1995
poesia e critica, pp. 78-83
Giselda Pontessilli
“Il mio negozio”
All’Università ho amato tanto
due professori:
Rosario Assunto di Caltanissetta
e Fedele d’Amico nato a Roma.
Li credevo immortali: d’Amico
io non lo vidi più per molto tempo
ma sempre aspettavo il momento
di un incontro trionfale
di un mio portargli in giubilo
i frutti suoi: poi morì,
il 10 marzo dell’89.
Assunto invece l’ho visto morire
a poco a poco, ma senza accorgermi,
senza crederci mai.
Così incredibile è questa morte
che ancora io non so che devo fare.
So che il loro pensiero fu uguale:
è bello è uguale e mi fa sperare.
*
Se ci fosse un amico in questa casa
sarebbe bello, bellissimo;
gli si dovrebbe fare una stanzetta
chiudendo in parte questo enorme androne;
costa, lo so, ma forse non tantissimo
se chiamerò soltanto il muratore
e io lavorerò da manovale.
Gino per esempio ci vorrebbe stare
un po’ da me in campagna.
E anche Enza, se ci fosse una stanza.
Forse anche Giulio ci verrebbe e insieme
leggeremmo le sue e le mie poesie.
Che dignità, che vita più civile
viene alla casa quando c’è un amico.
E che bello se mentre siamo insieme
viene a trovarci la signora Salvia,
che confortò mio padre in fin di vita,
che è la madre di Beppe, tra di noi
primo amico passato all’altra vita:
prendiamo il the, ci offriamo i regali,
tutto si eleva, con questi rituali.
A Beppe Salvia
Ho scritto in fondo solo ciò che devo
ma non muta il cuore del presente
muto è il cuore, il mio – certo – per primo;
è in sé tutto nascosto, silenzioso
io lo perdono
è un cuore – io lo so – troppo ferito
forse non parlerà mai più
nemmeno in fin di vita.
Ma non ha colpa per me
non può parlare con la sua ferita.
E il cuore del presente.
E intanto leggo meravigliosamente
la lettera di Petrarca a Guido Sette
leggo Virgilio, Orazio, Cicerone
rientro in casa, riesco sul balcone
*
Il professor Assunto mi diceva:
“Anche se tuo figlio
sta con te tutto il giorno
sarà incantato
dal guardare i mestieri di casa
che tu fai: quando raccogli i panni
o asciughi le posate o accendi il fuoco
o lavi le patate…
Anch’io, da bambino, ero cosi”.
Ma poi una volta disse:
“Giselda se tu sapessi
adesso che sono vecchio e sono solo!
E come ero già solo da bambino
giocavo sì… ma poi, le lunghe
lunghe ore di solitudine”.
Com’era buono il professor Assunto.
E come stavo bene insieme a lui.
La sua casa era sempre una promessa
incantata per me, d’arte, di pace.
*
Quanto fu grande la sofferenza
di mio padre, e di mio nonno,
e del padre di lui, e di suo nonno
quanto povera, ansiosa, faticosa
fu la loro vita.
Se son qui adesso è per fare
come hanno fatto loro.
Qui adesso alla stazione
c’è questa aria ferma, questo cielo
e certo anche il nonno di mio padre
è stato qui una volta, e qui ha pensato
questo, come lo penso io adesso,
perché noi siamo unanimi, uguali.
Noi lavoriamo insieme,
abbiamo sempre gli abiti
e il giusto necessario
e sempre, sempre li avremo
perché non ci ha legato la terra.
Ci lega il fumo lieve
che esce dal camino
e si spande per l’aria
e la fatica odierna
sempiterna
e il dare forma.
*
Il mio negozio era umile…
Chi era, mio padre, un commerciante?
Mentre agli altri negozi non mancava
con l’andar del tempo
il lustro del rinnovamento,
il nostro rimaneva sempre spoglio,
dimesso; non che non fosse efficiente,
non mancava di niente.
“Vai da Marcello” -diceva la gente-
“Ci trovi tutto”. Tutto,
anche le cose antiche, le cose
povere, dimenticate, belle.
Poi c’era lui, Marcello. “Tutto
ero uno che può fare tutto”
così mi disse; a Roma
in Via Tor de’ Schiavi, a Centocelle
chi veniva al negozio sa che è vero
era tutto, sapeva fare tutto
e si sacrificò completamente.
*
Orazio, quando dice “Carpe diem”
intende “Sii buono” qui, adesso,
con te come con gli altri; non c’è tempo
per rimandare questo; ora è tempo,
domani può mancarti
l’amico cui ti neghi
non lo vedrai mai più finché sei in vita
e se anche credi in un’altra vita
non ti consolerai del male fatto:
l’indifferenza, non aver voluto
un aiuto, un saluto, un viaggio,
un pranzo all’aperto sotto il noce,
l’armonia di un invito,
di una voce,
l’amore vero, la pietà del padre.
E c’era neve fuori
e voi convivialmente
potevate, e più non lo potrete,
sedere accanto al fuoco, dialogare,
anche di cose piccole, banali
le parole, si sa, son tutte uguali.
*
Come ero sempre fiera da bambina
di stare sui sacchi di cemento
ammucchiati vicino alla vetrina,
d’estate, quando faceva tanto caldo
e io condividevo li coi miei
il lavoro al negozio.
Io ero sempre fiera
quando ero dietro al banco con mio padre
e vivevo con lui, figuralmente,
la nostra umana sorte nel mondo;
quando chiudeva le saracinesche
e anch’io mettevo il piede
e ogni giorno quattro volte al giorno
le alzava e le abbassava
io lo guardavo.
Portava le bombole del gas
in spalla fino all’ottavo piano,
montava rubinetti, serrature,
cintini alle serrande, lampadari;
e la festa, rinchiuso nel negozio,
riordinava, costruiva scaffali,
contento se la gente del quartiere
bussava ai vetri
e comprava qualcosa.
Dopo andavamo insieme, io e lui,
alla Fiera del libro, a piazza Esedra,
o dal suo amico Silvio a Torremaura,
o al vivaio, sulla
Casilina.