IL ROSSO E IL NERO
anno 1, numero 1, febbraio 1992
poesia e critica, pp. 49-52
Marina Pizzi
da “Le ciotole viatiche”
(1990-‘91)
L’ultimo atto
La furia della rondine è mentire
cerchio da sempre a maestro. Strattone,
è come rifare la nenia.
Trecce di lutto le gómene
sfatano gloria emergono la falla.
Lampo scolastico il bel voto antico
non dà scampo. Patrigna rissa il sangue
sguarnito del sacro sigillo:
non ombra darsi.
Frullo di conca s’imbastì il mio corpo
rovesciato e pendulo s’impiccò alle cosce.
Il tratto giovanile
Norme vedovili il sole mercante
dove legaccio intende solo cenere.
Reproba borchia la falla del fato
sperde chi matura madre la fanga.
La faretra per gigli di menzogna
langue d’urlo, brucia, fa fu
il tratto giovanile,
miti di miti le montagne lìncee
tane da preda le traforano
con pìcee lastre per vicine tombe.
La scarpata
Appartenenza di martirio e riso
rompersi. L’atrio del collegio sfata
la tragedia. Solo tazza il ragazzo
a colazione piange. Cerchio d’aquila
nemmeno fu la madre. Parchi giochi
nascondersi, scolorirsi al tramonto
quando il tramonto storpia le chimere.
E dove ingiuria chi dispera e langue
se si guarnisce la parola vana
almeno nodo nei diari futili.
Con tanti troni si mostra la storia
scarpata per le redini del giusto.
Salnitri di trincea
Nessun miraggio le aiuole spoglie
spartiscono salnitri di trincea
Continuano i concerti a capodanno
le saghe buie delle paghe in ghetto.
Partoriti da numeri di sosia
da vandalo s’incurva l’orizzonte.
Guardare il mio fantasma affettuoso
voglio dal greto di un canestro storpio
giammai divina la natura franta.
Il poeta dispera i suoi accessi
spremuti sotto fari di palude.
Minimo bandolo
Anche il saluto si è fatto ridicolo
reticolato, non pésca le colpe.
Pattume tritume trobar clus,
tu l’abbandonante abbandonato mio.
Minimo bandolo duole la sillaba
i sismi che la smottano tardiva.
Un tempo il mondo attendeva le visite,
feste di campi nasceva l’amore
viràgine statuaria la rondine.
In pochi lustri si straziò la cesta
stantio finanche il pane e sùbito
s’imbellettò la forza della borsa.
Onde le greche presero caligine
le ginestre gingilli di elemosine.
Sfera di fuso
Il treno sulla fronte: voglio andarmene
perché i pranzi nelle cene s’incarcerano
e nondimeno è, fa lieve sospendersi
sfera di fuso ad altro continente.
Diga o coriandolo tragitto il cuore
sfregia la luna che lo volle amante
dell’orizzonte marchiandolo a lutto.
L’appello del comando dà l’evento
pescoso solo al retro della vita.
La rissa di comporsi
Spericolò con il costo di spendersi
despota a sé di tutto il tempo dato.
Cavandosi dal mondo spaventò
ancora il basto dell’essere solo
sudario fitto impronta di cestino.
Prepotente la rissa di comporsi
viziò parole con legami a mille.
Mancanza mirerà chi si farà
affranta regalia ad altra cenere.
Parola di cella
Con l’inguine defalcato ti guardo
e d’esser viva non guarisco presa
pena la riva che portò e non valse.
L’affine tuo non mi restò vicino
anzi l’ansa che ci distinse stretti
le fate straccia in tasche di fantasmi.
Tombe libri scorie
dirupano famiglie
fanghiglie i pani credule le mani.
Mulini a vento e torri
i ragli delle pietre fonde.
Resina cieca
Dà pollici di noia darsi liberi
se il trombettiere di passate voglie
di sé bivacca si stramazza vuoto.
Costanza senza parto il tono del residuo
il duolo di lordarsi ancora nome
vespero di quaresima perenne.
Tutti i colori Arlecchino ha spuntati,
tu resti tu che mi guadagni viva
resina cieca la compagna cieca.
Le stanze zitte per gl’immensi gridi
I pastori hanno le concomitanze delle erbe,
migrano grami petti di benigni
scrigni. Di rivista conoscono soltanto
l’occhio militare con le tare i cuori
dei superiori. Pingui le donne
nei paesi vuoti. Straccali in sangue
le carni le cartilagini d’intingoli.
Guida chi sa ma si dilegua il mondo.